L’Egitto è il più popoloso Paese del mondo Arabo ed è spesso stato il suo leader. Ma la rivoluzione di gennaio 2011 in Tunisia è stata la scintilla che ha dato fuoco a decenni di rimostranze ardenti sotto la cenere contro il tirannico governo del presidente Hosni Mubarak.
Le migliaia di dimostranti scesi in strada chiedendo le sue dimissioni, sfidando divieti e coprifuoco, rappresentano la più grave sfida al regime mai verificatasi. Mubarak ha inviato l’esercito contro i dimostranti, ha licenziato il suo governo, ma non si è dimesso nonostante che il suo Paese sia in fiamme.
Mubarak è al potere da quando il suo predecessore Anwar el-Sadat fu assassinato il 16 ottobre 1981. Fino allo scoppio dei disordini ha negoziato con successo problemi di sicurezza regionale, ha consolidato le sue relazioni con gli Stati Uniti, ha mantenuto freddi ma corretti rapporti con Israele ed ha duramente represso il fondamentalismo islamico e il terrorismo, insieme col dissenso in generale.
Sebbene il regime di Mubarak fosse sempre più impopolare, gli egiziani sono a lungo restati apatici. Per anni la principale opposizione è stata la Fratellanza Islamica, messa fuori legge ma ancora popolare. Poi, il 25 gennaio la rabbia è esplosa. Migliaia di dimostranti, in gran parte mobilitati tramite internet e imbaldanziti dalla cacciata del dittatore tunisino Zine el-Abidine Ben Ali, si sono scatenati occupando le principali piazze del Cairo e respinendo le cariche della polizia.
Due giorni dopo decine di migliaia di dimostranti sono sciamati dalle moschee dopo le preghiere e si sono nuovamente scontrati con la polizia. In un discorso televisivo, Mubarak si è schierato con le sue forze di sicurezza dichiarando di essere ”dalla parte della libertà” e che suo obbligo è di salvare il Paese dal caos.
A Washington, sempre più preoccupata dalla piega che stavano prendendo le cose in Egitto, suo importante alleato, l’amministrazione del presidente Barack Obama ha aumentato le pressioni su Mubarak, avvertendolo che se le proteste fossero trattate con durezza il pacchetto di aiuti all’Egitto per 1,5 miliardi di dollari sarebbe stato rivisto.
Ma il governo del Cairo ha ignorato le avvertenze di Washington, ponendo agli arresti domiciliari i principali esponenti dell’opposizione, incluso El Baradei, premio Nobel per la Pace nel 2005, e sguinzagliando per le strade l’esercito allo scopo di rinforzare le forze di polizia, incapaci di contenere la rivolta.
Le autorità ne hanno dato la colpa alla Fratellanza Musulmana, ma secondo i dimostranti le proteste traggono origine da un dilagante malessere verso Mubarak su argomenti come la perpetua estensione delle leggi di emergenza che consentono arresti arbitrari, e la stagnante burocrazia incapace di gestire perfino le più elementari sue responsabilità.
La furia senza precedenti che si è scatenata contro Mubarak, al potere da quasi 30 anni, affonda le sue radici nel passato. Ha covato sotto la cenere per molti anni, a volte esplodendo, ma mai come sta succedendo in questi giorni. Le lagnanze sono di natura economica, sociale, storiche e profondamente personali.
Gli egiziani dicono che la loro dignità è stata ferita dal potere monopolistico di Mubarak, dal suo approccio alla sicurezza col pugno di ferro ed alla corruzione di cui ha consentito il dilagare. Perfino alleati del governo hanno riconosciuto che le proteste sono giuste e che le richieste dei dimostranti e del resto degli 80 milioni di egiziani devono essere ascoltate.
Dopo l’inizio della rivolta, la Fratellanza Musulmana è sembrata volersi allineare con i dimostranti, principalmente giovani e laici, ma non è chiaro se poi lo ha fatto veramente. Secondo l’evidenza dei fatti, le avanguardie della rivolta sembrano essere giovani pieni di rabbia ed inoltre includere uno spaccato trasversale di egiziani. Almeno sei di loro si sono dati fuoco nelle scorse settimane, imitando quanto accaduto in Tunisia.
Nel caos imperante, i leader egiziani sembrano aver concluso che il principale sbaglio del dittatore tunisino Ben Ali sia stato di apparire conciliante di fronte alle proteste, e quindi di averle incoraggiate fino a quando ne è stato travolto. Per questo motivo, il governo del Cairo ha risposto alla rivolta come ha sempre fatto: reprimendo e ignorando le richieste dei dimostranti scesi in strada.