I due a settembre hanno annunciato l’intenzione di scambiarsi le cariche con un copione che ha fatto storcere il naso non solo ai giovani e alla nascente classe media, ma anche ai simpatizzanti del suo partito, Russia Unita, ridotto a pura macchina elettorale. I timori, in Russia e all’estero, sono quelli di un Putin che potrebbe restare al potere sino al 2024, un quarto di secolo, con uno scenario da stagnazione brezneviana. Il capo del governo si è difeso ricordando i quattro mandati del presidente Usa Theodore Roosevelt e l’esempio del generale de Gaulle, avvertendo che non esiste alternativa. “è sufficiente fare due o tre passi falsi perchè tutto crolli così velocemente che non avremmo neppure il tempo di accorgercene, tutto si tiene ad un filo da noi”, ha ammonito recentemente, vantandosi di aver “chiuso i bulloni” del Paese in questo decennio.
Ma dopo l’annuncio dello “swap”, il suo indice di popolarità è calato, insieme a quello di Medvedev e di Russia Unita. Poi sono arrivati anche i fischi allo stadio durante un incontro di arti marziali, da quel pubblico che di solito lo venera. Lui ha ancora grandi progetti, come l’Unione euroasiatica, ma sembra che il vento stia mutando perchè anche il Paese sta cambiando lentamente pelle.
Il malcontento degli elettori si e’ tinto di rosso, confluendo nel partito comunista, balzato a sorpresa a cavallo del 20%, praticamente raddoppiando i consensi. Erede del “glorioso” Pcus, il Partito comunista dell’Unione Sovietica, che guido’ il Paese dal 1922 al 1991, il Kprf (Partito comunista della Federazione Russa) e’ stato fondato nel 1993 e ha in Ghennadi Ziuganov – in quegli anni uno dei maggiori critici di Boris Yeltsin – il suo leader incontrastato.
Negli anni Novanta il partito occupava un nutrito numero di seggi alla Duma. Ma poi, con l’ascesa di Vladimir Putin, e’ stato via via relegato ai margini della politica, oscurato dal consenso pressoche’ plebiscitario su cui l’attuale premier e il partito Russia Unita hanno potuto contare. Il calo di preferenze per i comunisti, nelle elezioni legislative del 2007, si tradusse in un modesto 11,57%. Mentre l’anno dopo Ziuganov incasso’ una nuova cocente sconfitta alle presidenziali, racimolando il 17,7% dei voti contro il 70% ottenuto da Medvedev.
Eppure, il Kprf e’ rimasto comunque il primo partito dell’ opposizione, fedelmente sostenuto da pensionati, operai, gruppi studenteschi, abitanti delle citta’ industriali. La crisi economica e il crescente scetticismo verso il Cremlino hanno poi diversificato l’elettorato comunista e il risultato di oggi potrebbe essere il frutto del trasferimento di voti dei molti ”disillusi”, anche se Ziuganov nei giorni scorsi aveva sottolineato il profondo rinnovamento in atto nel partito. Intanto il leader, nonostante abbia raddoppiato le preferenze, ha invitato i suoi sostenitori a scendere in piazza contro i brogli elettorali denunciati nei giorni scorsi, mentre gia’ nel settembre scorso aveva annunciato la sua candidatura alle presidenziali di marzo contro ”un gruppo di persone che sta umiliando il Paese”. E oggi, nel giorno in cui il partito di Putin ha probabilmente perso la maggioranza alla Duma, la sfida del Kprf al popolare ”zar” di Russia non sembra solo un anacronistico rigurgito sovietico.
