
LONDRA, GRAN BRETAGNA – Le pressioni sul premier britannico David Cameron innescate dai risultati elettorali del partito euroscettico Ukip montano e si trasformano in un terremoto che fa tremare il governo, dopo che il ministro Tory dell’ Istruzione, Michael Gove, ha ammesso che se il referendum sull’Ue si tenesse oggi lui voterebbe per l’uscita di Londra dall’Unione europea.
Gove, il primo esponente di governo a prendere una tale posizione, precisa di rimanere ‘fedele’ al piano di Cameron che vuole rinegoziare il rapporto del Regno Unito con le istituzioni europee e successivamente porre ai britannici il quesito ‘dentro o fuori’ sull’Europa. Ma la sua ammissione resta un segnale forte ed inequivocabile su come la questione sia al centro di una sorta di ‘guerra civile’ nel partito conservatore e che sconfina nella coalizione di governo Tory e libdem, con i secondi che sull’Europa hanno posizioni completamente diverse.
Si parla chiaramente di ”rivolta”, quindi, della frangia euroscettica del partito conservatore, nota ma tenuta fino ad ora sottotraccia e che invece potrebbe esplodere in aula, ai Comuni, in occasione del possibile voto su una mozione che vuole emendare il ‘discorso della regina’, ovvero la linea politica del governo tracciata per i prossimi 12 mesi: i backbencher Tory (cioè quelli non di primissimo piano, fino a 100 parlamentari) rimproverano il fatto che nel discorso non sia stato annunciato un provvedimento legislativo che apra la strada al referendum. Cameron ha chiesto ai suoi di astenersi e per ora sembra aver raccolto l’adesione dello stesso Gove insieme con quella del ministro degli Interni Theresa May e del ministro della Difesa Philip Hammond.
Ma il fatto stesso che un voto sul ‘Queen’s speech’ sia contemplato e’ considerato straordinario e rivela il momento particolarmente critico. Pronunciato dalla sovrana nella tradizionale cerimonia per l’apertura dell’anno parlamentare, lo scorso mercoledi’ nella camera dei Lord, il discorso viene elaborato e redatto dal governo, che per il prossimo anno ha indicato in 19 punti le sue priorita’ con focus sul rilancio dell’economia e sull’immigrazione. Niente Europa quindi, come invece era stato suggerito da chi vede nella crescita di consensi a favore dell’euroscettico Ukip una bocciatura per la strategia di Cameron.
Questi a gennaio, in un discorso attesissimo ma piu’ volte rimandato, ha promesso un referendum sull’Ue ma non prima del 2017, nel caso in cui i conservatori e lo stesso premier vengano confermati alla guida del governo dopo le elezioni del 2015 e dopo aver rinegoziato il rapporto con Bruxelles. Una ‘mossa’ che era stata letta come il tentativo di ‘placare’ lo scontento dei piu’ critici sull’Europa ma che rischia, ogni giorno di piu’ evidentemente, di trasformarsi in un boomerang per il primo ministro
