
LONDRA, GRAN BRETAGNA – ”Pensi che il Regno Unito debba restare membro dell’Unione europea?”. Mettendo la domanda nero su bianco, il primo ministro britannico David Cameron ha offerto il ramoscello d’ulivo ai ‘ribelli’ anti-Ue del suo partito. Non e’ bastato pero’. Ed e’ sfida aperta. Perche’ la questione va oltre la membership europea su cui comunque si decidera’ nel 2017: cio’ che traballa davvero e’ la leadership di Cameron, in un partito che sembra ad ogni mossa alzare ulteriormente la posta.
Cosi’, l’annuncio ieri dagli Stati Uniti quando a Londra si era gia’ in tarda serata, del via libera per la pubblicazione della bozza di una proposta di legge sul referendum – con quesito chiaro ‘dentro o fuori’ e da tenersi entro il 31 dicembre del 2017, come promesso dal premier – non ha sortito l’effetto sperato di placare la rivolta.
Gli euroscettici dei Tory restano determinati nel chiedere che l’impegno sul referendum sia parte dell’agenda politica del governo per i prossimi 12 mesi. Si torna cosi’ alla casella di partenza, con i backbencher, i parlamentari irriducibili rivoltosi, che non rinunciano a porre la mozione al voto ai Comuni domani. Se Cameron dovesse essere messo in minoranza sarebbe un clamoroso (e poco recuperabile) smacco politico. Tanto che nel descrivere la situazione in cui si trova si sprecano in queste ore analogie e paragoni con simili clamorosi momenti nella storia recente del partito: l’immagine del governo guidato da John Major ‘schiaffeggiato’ sulla questione europea, ma anche il drammatico tradimento nei confronti di Margaret Thatcher, che fu messa in minoranza mentre si trovava a Parigi.
I fedelissimi si affrettano a fare quadrato attorno al premier. William Hague arriva a dire che il partito e’ piu’ unito che mai e che la bozza di una proposta di legge che apre la strada a un referendum sull’Ue non e’ un segno di cedimento del leader messo nell’angolo dagli euroscettici :”Avevamo un certo numero di opzioni. Avremmo potuto fare questo o qualcosa di simile per mostrare il nostro impegno”. Poi il veterano Tory Ken Clarke, che come una mosca bianca si distingue per essere uno dei pochi europeisti dichiarati a Westminster e dintorni, il quale esorta a ”guardare avanti”, avverte che la cosa importante e’ assicurarsi che dal referendum esca ”il risultato giusto” e afferma senza mezzi termini: ”Lasciare l’Unione Europea sarebbe molto molto spericolato”.
Intanto a Bruxelles nessuno parla ufficialmente, ma chi ha raccolto gli umori in queste ore alle istituzioni europee (come il quotidiano Guardian) riferisce che montano esasperazione e frustrazione per l’infinito dibattito sul ruolo di Londra nell’Unione. In particolare non sembra essere stato apprezzato il modo in cui Cameron, che era volato a Washington per parlare fra l’altro con il presidente Barack Obama degli sviluppi su accordi di libero scambio tra Ue e Usa, dalla capitale americana abbia lanciato un’altra stoccata all’Europa, affermando che ”lo status quo non e’ accettabile e va cambiato”.
A Londra Cameron ha lasciato una bufera che e’ continuata a infuriare per tutta la giornata, dopo che due ministri del suo governo avevano ammesso che se il referendum sull’Ue si tenesse oggi, loro voterebbero per l’uscita del Regno Unito dall’Unione. Cameron non ha nascosto la sua irritazione, ma, nel tentativo di contenere la ‘ribellione’, appena atterrato a Washington ha reagito: ”Non credo che lo status quo nell’Ue oggi sia accettabile. Io voglio cambiarlo e una volta cambiato voglio porre ai cittadini britannici un semplice quesito, dentro o fuori”. In altre parole: a noi serve un’Europa diversa e a noi più consona, ma prima del 2017 il referendum non si fa. E’ la prima volta che due componenti del governo di tale rango (il ministro della difesa Philip Hammond e dell’istruzione Michael Gove) prendono pubblicamente questa posizione.
Ma solo dopo un montare della tensione innescata prima dallo straordinario successo elettorale del partito euroscettico Ukip (che ai conservatori ha sottratto consensi a destra e che i sondaggi danno ora al 18%), poi da una seria di ‘esternazioni’ da parte di autorevoli nomi del gotha Tory che nei giorni scorsi avevano lanciato un chiaro appello: si trovi rapidamente il modo di uscire dall’Ue. Quindi i backbenchers, i veri e propri ‘ribelli’ del Parlamento, che a Cameron sull’Europa non hanno mai smesso di dare filo da torcere. La loro costante attivita’ sottotraccia ha trovato il suo sfogo mettendo addirittura in discussione il Queen’s speech, il discorso della regina con cui il governo illustra le sue priorita’ per i prossimi 12 mesi, contestato proprio perche’ non menziona una legislazione che apra la strada al referendum. Per questo avevano proposto un emendamento con una mozione da votare ai Comuni. Uno schiaffo politico per Cameron, che ai suoi aveva chiesto di astenersi.
Da Washington poi e’ arrivato il rimprovero di Cameron a chi gli chiede di affrettare i tempi sull’Europa: ”Cosi’ e’ come gettare la spugna”,ha detto, e prima ancora di aver provato a cambiare le cose dall’interno, ”meglio usare le energie per vincere le elezioni” nel 2015 spiega l’entourage di Cameron. E a dargli man forte ha trovato il presidente degli Stati Uniti in persona, Barack Obama, dal quale era andato a parlare anche di libero scambio Usa-Ue, per Londra un obiettivo prioritario. ”Per quel che riguarda le relazioni tra Regno Unito e Unione Europea, avrebbe senso cercare di aggiustarle prima di decidere di romperle”.
E’ di enorme importanza per gli interessi degli Stati Uniti che il Regno Unito continui a far parte della Unione europea”, ha detto Obama in conferenza stampa, fornendo quindi un’autorevole sponda all’alleato David. A ormai tarda serata a Londra, pero’ ecco quello che ha tutta l’aria di un tentativo in extremis per placare le ire euroscettiche e forse anche salvare il posto di Cameron a Downing Street. ”Il partito conservatore presenterà giovedi una bozza di proposta di legge per un referendum ‘dentro o fuori’ l’Unione europea da tenersi entro la fine del 2017”, riferisce un portavoce di Cameron. Ora tutti gli occhi sono puntati su Bruxelles e le altre capitali del continente europeo.
Va poi detto che anche se nessuno e’ disposto a dichiararlo apertamente, e’ evidente che a Bruxelles monta l’insofferenza verso il dibattito che sembra infinito a Londra sul ruolo del Regno Unito nell’ambito delle istituzioni europee e sull’eventuale referendum per decidere se restare o lasciare l’Unione europea, secondo quanto riferisce il Guardian in una corrispondenza dalla ‘capitale’ europea. E l’ultima decisione del premier David Cameron di pubblicare una bozza di proposta di legge che stabilisca i termini del referendum, presa in risposta alle pressioni di settori del suo partito, viene addirittura definita ”esasperante”, stando agli umori raccolti dal quotidiano.
