ROMA – “Quale Libia avremo dopo Gheddafi?”: difficile azzardare una previsione, più utile è certamente abbozzare un bilancio dei 41 anni di potere assoluto del rais. Alberto Negri, sul Sole 24 Ore di martedì 22 febbraio, traccia un profilo del Colonnello durante la sua lunghissima reggenza, del suo rapporto con la famiglia, il clan, la cabila, l’Islam. E’ tutto qui, secondo Negri, il lascito di Gheddafi. Un’eredità fallimentare, se si considerano le ambiziosissime aspirazioni degli inizi: “Un paese che dopo i vaneggiamenti sul potere del popolo è ancora radicato nelle strutture tribali”.
Come Saddam in Iraq, Gheddafi non è riuscito “a forgiare una nazione unitaria […] ha mancato di costruire uno stato moderno e si è rifugiato nelle tribù, prima di tutto nella sua, la Ghaddafiah”. Negri ricorda una frase del Colonnello contenuta in un’intervista concessa all’Express alla fine del 1971: “La Libia ha bisogno di qualcuno che la faccia piangere non ridere”. Una profezia amara, letta a posteriori. Negri preferisce però sottolineare il carattere di un leader che sognava “non di guidare un paese poco popoloso e marginale, ma uno stato come l’Egitto o la Turchia”. Gheddafi si vedeva come un nuovo Nasser. Per questo ha promosso una destabilizzazione costante dell’area, finanziando guerre velleitarie e colpi di stato. Col risultato che il mondo arabo lo ha praticamente isolato.
All’interno, sempre per la stessa ragione, “ha sprecato centinaia di miliardi di dollari in armamenti, con un esercito troppo esiguo per manovrare inutili carri armati e flotte di cacciabombardieri. Per questo – continua Negri – si serve di mercenari e di milizie personali: delle forze armate non si fida”.
Forse, un colpo di stato militare è “l’unica soluzione per non veder affondare la Libia come avvenne nel ’92 con la Somalia di Siad Barre”. L’accenno a questa martoriata ex nazione constatata amaramente “il destino tragico” delle nostre ex colonie.
Unica certezza, secondo Negri, è che se anche Gheddafi dovesse salvarsi, non sarà più in grado di governare il paese. “Il Colonnello ha fatto terra bruciata […] Dei dodici componenti del Consiglio rivoluzionario son sopravvissuti in pochi. […] I movimenti laici sono stati decapitati […] L’opposizione secolarista che si appoggia a militari ed ex gerarchi è stata a lungo disunita”.
Diverso è il discorso con gli islamici. “Tre sono le componenti della possibile disgregazione libica: l’integralismo islamico, le storiche rivalità regionali, le contrapposizioni tra tribù e cabile”.
