Continuano i «rapporti» sull’Iraq svelati da Wikileaks,che, a volte, riempiono una pagina, con dettagli, posizioni, nomi. In altre — come per l’incidente dell’ambulanza che ha coinvolto le truppe italiane — sono comunicazioni stringate e non delle vere relazioni di servizio. Davvero poche righe, un po’ scarne per trasformarle in verità definitive. Un ufficiale o un soldato hanno riportato in modo sintetico quello che sarebbe avvenuto ad un posto di blocco, all’interno di una base o durante un’operazione. Dati che fissano un episodio.
Manca però il contesto e gli sviluppi. Spesso non sappiamo quanto è avvenuto dopo. Ed è per questo che oggi si invoca l’apertura di un’indagine su alcune delle rivelazioni, in particolare quelle relative alle torture e alle uccisioni di civili iracheni. A chiederla non solo organismi internazionali ma anche voci nei paesi dell’Alleanza Atlantica. Il governo di Bagdad, criticato in modo duro, ha reagito annunciando la formazione di una commissione di inchiesta: «Vogliamo punire tutti coloro che hanno violato i diritti degli iracheni».
Da Washington, dopo le ripetute smentite del Pentagono, è stato il capo di Stato Maggiore dell’Us Army, generale George Casey, a intervenire. L’alto ufficiale ha negato che gli Stati Uniti abbiano tollerato o coperto gli abusi da parte delle forze irachene. «Secondo quanto è apparso sulla stampa — ha affermato Casey — avremmo chiuso gli occhi sulle violenze contro i prigionieri. Ma tutto ciò non è vero». Dai file di Wikileaks invece si evince che vi era un ordine in base al quale gli americani avrebbero dovuto indagare solo nel caso di un coinvolgimento di militari alleati.
Un messaggio sottratto agli archivi americani è uno dei 391 mila rapporti sull’Iraq resi accessibili su Internet dal sito http:// wikile-aks.org/ obbligando il Pentagono e Stati maggiori di Paesi alleati ad affrontare una inattesa battaglia mediatica priva di confini geografici. Classificato come segreto, il testo è poco più lungo di un didascalico avviso su twitter e porta la data del 5 agosto 2004.
Riapre una delle pagine più fastidiose per la retorica nazionale che ha definito a lungo come «missioni di pace», più che «missioni per la pace» come va in voga dire adesso, le operazioni dei militari italiani all’estero. Missioni nelle quali per varie ragioni — risultare in linea con l’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali; non dispiacere a parlamentari e opinione pubblica; tranquillizzare le famiglie dei soldati — governi di vario colore hanno descritto in maniera più rosea del vero i compiti affidati ai nostri militari.
In inglese, c’è scritto: «Alle 03.25 un’auto che attraversava il ponte orientale di Nassiriya non si è fermata al posto di blocco italiano e veniva di conseguenza ingaggiata con armi leggere causando la grande esplosione del veicolo. Non ci sono stati vittime e danni alle forze della coalizione italiane». L’auto bersagliata dai soldati sarebbe stata un’ambulanza, in cronache successive descritta come il mezzo saltato per aria in una delle «battaglie dei ponti» sull’Eufrate spezzando le vite di quattro civili, compresa una donna incinta.
Notte dura, quella tra 5 e 6 agosto 2004, nella città presidiata dal contingente mandato in Iraq da Silvio Berlusconi dopo l’offensiva di George W. Bush contro Saddam Hussein. Lagunari, carabinieri, Genova cavalleria risposero per ore ad attacchi compiuti con mortai dai guerriglieri di Moqtada al Sadr, figlio di un imam sciita ucciso nel 1999 da sicari ritenuti di Saddam Hussein. Bilancio ufficiale della polizia locale: sei iracheni morti, 13 feriti.
«Sparai contro il mezzo perché così mi fu ordinato dal maresciallo Stival. Se mi fossi accorto che si trattava di un ambulanza mai e poi mai avrei sparato», raccontò nel 2006 il caporalmaggiore Raffaele Allocca alla Procura militare. Corrado Dalzini, allora capo del contingente in Iraq, lo aveva già promosso per «aver contribuito in maniera determinante al successo dell’operazione».
Poi è arrivata l’assoluzione di Allocca e degli altri due imputati di «uso aggravato delle armi contro ambulanze e il personale addetto». Ricorda con il Corriere Antonio Intelisano, allora procuratore militare a Roma: «I tre furono assolti, con decisione conforme alla richiesta della Procura, perché si ravvisò l’esistenza di una “scriminante putativa”: c’erano stati precedenti nei quali i terroristi avevano impiegato ambulanze per colpire, e i tre ritennero di trovarsi in una situazione del genere».
Dalzini, fece presente nel 2004 la deputata allora nei Ds Roberta Pinotti chiedendo spiegazioni alla Difesa sulla donna incinta, sostenne che persone scese dal mezzo avevano sparato contro i lagunari. «Non è vero che si trattava di un mezzo di soccorso, era un’autobomba», fu la versione del ministro degli Esteri Franco Frattini.
«Da un primo esame mi sembra che non ci sia assolutamente nulla da modificare sul giudizio estremamente positivo verso i nostri militari», è stato ieri su Skytg24 il commento del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il 13 ottobre, parlando al Senato delle missioni internazionali, La Russa ha detto che «mai un soldato italiano è andato oltre il legittimo e necessario uso delle armi e mai ha provocato danni ai civili».
Uno dei documenti riservati messi in rete dai responsabili del sito web Wikileaks riguarda la morte del sergente della Folgore Salvatore Marracino. Il militare italiano perse la vita il 15 marzo 2005 a Nassiriya, in Iraq. Un proiettile lo colpì alla testa mentre era in corso un’esercitazione. Secondo la versione ufficiale, si trattò di un incidente. L’arma di Marracino si era inceppata e lui, nel tentativo di rimetterla in funzione, fece partire un colpo risultato fatale.
Ora invece Wikileaks, in base alla documentazione, fa intravedere uno scenario del tutto diverso. Il militare sarebbe stato colpito accidentalmente da un suo compagno, sarebbe cioè rimasto vittima di fuoco amico.
Il rapporto americano al quale Wikileaks fa riferimento porta la stessa data della morte di Marracino, il 15 marzo 2005. Vi si legge che «alle ore 13 un militare italiano stava prendendo parte a un’esercitazione di tiro a Nassiriya. E’ stato accidentalmente colpito alla testa. Trasferito all’ospedale di Camp Mittica, è stato classificato come incidente. L’hanno trasferito all’ospedale navale di Kuwait City. E’ morto alle 16.45».
Il sergente Marracino, nativo di San Severo, in provincia di Foggia, aveva 28 anni. Apparteneva al 185° reggimento paracadutisti della Folgore, di stanza a Livorno. La sua tragedia ebbe molta eco perché avvenne proprio nel giorno in cui il Parlamento si preparava a concedere un nuovo finanziamento della missione in Iraq. Toccò a Marco Follini, allora vicepresidente (udc) del Consiglio, annunciare in aula che il militare italiano, «durante un’attività regolarmente programmata di tiro con le armi portatili, nel tentativo di risolvere un inceppamento della propria arma, è stato raggiunto da un colpo alla testa».
La versione sollevò in un primo tempo molte perplessità. Marracino era un uomo esperto, aveva alle spalle già tre missioni all’estero, sembrava strano che potesse aver maneggiato l’arma in modo sbagliato. La madre del sergente, Maria Luigia Grosso, lanciò un appello ai compagni di suo figlio perché facessero chiarezza.
E oggi la donna racconta: «Ci hanno sempre ribadito che Salvatore è morto per un incidente. Io non vorrei più parlarne perché ogni volta si rinnova il dolore. Devo però aggiungere, per onestà, che l’esercito ci è stato e ci è tuttora molto vicino. Non hanno dimenticato mio figlio, gli hanno intitolato una palestra e una targa lo ricorda nella caserma Pisacane a Livorno».
L’ipotesi di fuoco amico lanciata da Wikileaks viene del tutto sconfessata dal procuratore militare di Roma Marco De Paolis. «Fu un incidente— assicura—. Per sbloccare l’arma, il sergente si colpì da solo. Ne siamo certi perché l’episodio è stato oggetto di un’approfondita attività di indagine. Abbiamo condotto gli accertamenti attraverso simulazioni e testimonianze. Inoltre sono state eseguite due autopsie che non lasciano dubbi. Non sono emerse responsabilità di altri militari».
Anche l’avvocato della famiglia Marracino, Mario Favale, respinge la ricostruzione di Wikileaks. Dice che la famiglia del sergente «è convinta che la verità sia quella ufficialmente raccontata dalle autorità militari». In polemica con il sito web, l’avvocato afferma che «non c’è proprio niente di misterioso da rivelare».
Nel frattempo alcuni collaboratori di Wikileaks hanno abbandonato l’organizzazione, accusandola di mettere in rete solo materiale antiamericano.
Poi nuove rivelazioni di Wikileaks. Salvatore Marracino, il militare italiano morto nel corso di una esercitazione il 15 marzo 2005 in Iraq, “è stato colpito accidentalmente” si legge nella documentazione pubblicata da Wikileaks. Secondo l’ipotesi più accreditata all’epoca, invece, il 28enne di San Severo (Foggia) si sparò alla fronte con la sua stessa arma, che si era inceppata poco prima.
In un rapporto americano datato il 15 marzo 2005, classificato segreto e pubblicato da Wikileaks con diversi omissis, si legge che “alle ore 13, un (militare italiano) stava prendendo parte a un’esercitazione di tiro a Nassiriya. È stato accidentalmente colpito (alla testa). È stato trasferito all’ospedale in Camp (Mittica) e classificato come incidente. È stato trasferito all’Ospedale navale di (Kuwait City). È morto alle 16.45 circa” ora locale.
La notizia della morte a Nassiriya del sergente Marracino arrivò nell’aula della Camera proprio mentre si stava per votare il rifinanziamento della missione italiana in Iraq. A informare il parlamento fu il vicepremier Marco Follini spiegando che Marracino “durante un’attività regolarmente programmata di tiro con le armi portatili, nel tentativo di risolvere un inceppamento della propria arma, è stato raggiunto da un colpo alla testa”.
Nel tempo la ricostruzione è apparsa sempre più sfocata: non si è più parlato esplicitamente di un colpo esploso dall’arma impugnata dallo stesso Marracino. Durante i funerali, la madre del ragazzo lanciò un appello ai commilitoni del figlio perchè la aiutassero a “fare chiarezza” su quanto accaduto.
La testimonianza della madre “A noi hanno sempre detto che Salvatore è morto per un incidente causato dalla sua arma”, ha detto all’Ansa la madre del sergente della Folgore Salvatore Marraccino, Maria Luigia Grosso. “Non so bene come – ha aggiunto – ma pare che sia partito un colpo da un’arma che si era inceppata più volte”.
Il legale “La Famiglia Marracino respinge categoricamente ogni ricostruzione dei fatti che diverga da quella ufficiale risultata alle indagini condotte dalla Procura Militare di Roma, ricostruzione assolutamente compatibile con le testimonianze, il riscontro autoptico e l’esame balistico, svolti all’epoca».
Lo scrive in una nota l’avvocato Mauro Valente, legale della famiglia, in relazione alle notizie diffuse dal sito Wikileaks e rilanciate su giornali e agenzie. “Il Sergente Salvatore Domenico Marracino – prosegue il comunicato – morì in un incidente avvenuto nel poligono militare di Nassirya, a causa dell’inceppamento di un’arma in dotazione alle nostre Forze Armate. Questa è l’unica versione dei fatti.
La Famiglia Marracino, nel chiedere che si spenga il clamore suscitato dalla notizia apparsa sui siti di tutto il mondo e che altro non ha fatto che riaccendere il dolore per una tragedia incancellabile – conclude l’avvocato – ribadisce il suo pieno e convinto attaccamento ai valori di Patria e Bandiera riunendo in un unico abbraccio e in un’unica preghiera tutti Coloro che, forti dei loro ideali, hanno sacrificato la vita nel compimento del proprio dovere”.
Ma il pm militare smentisce Wikileaks. Il parà della Folgore è morto durante un addestramento in Iraq, il 15 marzo 2005, per un colpo partito accidentalmente mentre tentava di sbloccare l’arma che egli stesso stava maneggiando e che si era inceppata. Non vi sono state quindi responsabilità di altri militari. Sono i risultati dell’inchiesta della magistratura: lo ha confermato all’ANSA il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, smentendo Wikileaks che parlava di militare “colpito accidentalmente”.
“Su questo incidente – spiega De Paolis – è stata svolta una approfondita attività di indagine: sono stati sentiti testimoni, fatte simulazioni, compiuti rilievi fotografici ed altro. Al termine è emerso, anche sulla base dei risultati dell’esame autoptico, che, mentre il sergente stava cercando di sbloccare l’arma che si era inceppata, è partito accidentalmente un colpo che l’ha raggiunto al capo, provocandone purtroppo la morte. Non sono emerse responsabilità di altri militari”.
La battaglia dei Lagunari. Non sparavano gli occupanti del mezzo di soccorso iracheno colpito durante la “battaglia dei Lagunari”, nell’agosto 2004 sui ponti di Nassiriya, in Iraq, e poi esploso perché raggiunto dai colpi dei soldati italiani: lo si legge nella documentazione messa online da Wikileaks. I militari italiani dissero di aver risposto al fuoco proveniente dal veicolo iracheno. “Alle ore 03.25 un automezzo che transitava sul ponte orientale di Nassiriya non si è fermato al checkpoint italiano e veniva conseguentemente ingaggiato con armi leggere. Quindi si è prodotta una grande esplosione, seguita da una seconda da cui si è valutato che il veicolo avesse dell’esplosivo” si legge in due resoconti americani del 5 agosto 2004 pubblicati da Wikileaks.
Il ponte esploso. I fatti risalgono alla notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 quando a Nassiriya si verificarono scontri tra i miliziani dell’esercito del Mahdi e i soldati italiani, posti a difesa dei tre ponti sull’Eufrate. L’episodio è stato al centro di una vicenda giudiziaria complessa. A bordo del veicolo, secondo i testimoni, si trovavano una donna incinta, la madre, la sorella e il marito.
La ricostruzione raccontata dai file di Wikileaks coincide sostanzialmente con quanto appurato nel corso dell’inchiesta giudiziaria. I militari hanno sempre raccontato una storia diversa: nessuna ambulanza, hanno sostenuto, ma solo un furgone, privo di insegne o di dispositivi luminosi, con a bordo uomini armati che, a un tratto, sono scesi sparando contro i soldati italiani che, dopo aver seguito le procedure, si sono limitati a rispondere al fuoco.
Dai file Wikileaks, incrociati con il rapporto riservato, scritto tre giorni dopo i fatti dal colonnello dei lagunari Emilio Motolese e reso noto nel 2006, emerge che la versione dei soldati italiani si potrebbe riferire a un episodio distinto, verificatosi un’ora dopo, alle 04.25. I soldati “spararono contro un mezzo che non si era fermato al checkpoint. Quindi iniziò – si legge nei file – una battaglia nella quale diversi insorti rimasero uccisi e altri feriti”.
Le minacce a Nassiriya Reiterate minacce contro la base italiana di Nassiriya in Iraq, almeno tre gli attentati pianificati dal 2004 al 2006, successivamente alla strage del novembre 2003 emergono nei file pubblicati da Wikileaks. Il 2 febbraio 2004, a Nassiriya gli insorti iracheni pianificavano un attacco contro la base italiana, colpita due mesi prima dall’attentato che costò la vita a 19 soldati.
Nuova minaccia nel maggio del 2005: gli insorti pianificano un attacco in grande stile contro la base di Nassiriya e quella britannica a Bassora. L’attacco, a colpi di mortaio, razzi, mine e Ied, era previsto per l’ultima settimana di maggio, di sera. Un anno dopo, i gruppi radicali di Nassiriya erano pronti a fomentare le violenze nel corso di manifestazioni popolari ostili alla coalizione in concomitanza con il ritiro italiano, iniziato formalmente il 16 giugno 2006 con il passaggio di consegne all’esercito iracheno. Il piano prevedeva l’utilizzo di ordigni artigianali da far esplodere lungo le strade vicino agli oleodotti e alle stazioni di carburante.
Wikileaks si difende Il portavoce di Wikileaks a Londra ha detto che il gruppo di Julian Assange non è antiamericano. “Non siamo anti-americani” ha detto Kristinn Hrafnsson alla radio Bbc 4, definendo “completamente false” le accuse secondo cui le fughe di notizie (prima di quella di venerdì notte su 400mila documenti sulla guerra in Iraq c’era stato lo scoop di luglio con 77mila dossier afghani) potrebbero servire alla propaganda di gruppi estremisti islamici.
“Un gran numero di persone che appoggiano Wikileaks hanno sinceramente a cuore i principi alla base della società americana e il Primo Emendamento della Costituzione sulla liberta di espressione” ha detto Hrafnsson. “È una coincidenza che questi documenti importanti rivelati negli ultimi mesi riguardino l’esercito americano”.
Ma il pm militare smentisce Wikileaks. Il parà della Folgore è morto durante un addestramento in Iraq, il 15 marzo 2005, per un colpo partito accidentalmente mentre tentava di sbloccare l’arma che egli stesso stava maneggiando e che si era inceppata. Non vi sono state quindi responsabilità di altri militari.
Sono i risultati dell’inchiesta della magistratura: lo ha confermato all’ANSA il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, smentendo Wikileaks che parlava di militare “colpito accidentalmente”. “Su questo incidente – spiega De Paolis – è stata svolta una approfondita attività di indagine: sono stati sentiti testimoni, fatte simulazioni, compiuti rilievi fotografici ed altro. Al termine è emerso, anche sulla base dei risultati dell’esame autoptico, che, mentre il sergente stava cercando di sbloccare l’arma che si era inceppata, è partito accidentalmente un colpo che l’ha raggiunto al capo, provocandone purtroppo la morte. Non sono emerse responsabilità di altri militari”.
Non sparavano gli occupanti del mezzo di soccorso iracheno colpito durante la “battaglia dei Lagunari”, nell’agosto 2004 sui ponti di Nassiriya, in Iraq, e poi esploso perché raggiunto dai colpi dei soldati italiani: lo si legge nella documentazione messa online da Wikileaks.
I militari italiani dissero di aver risposto al fuoco proveniente dal veicolo iracheno. “Alle ore 03.25 un automezzo che transitava sul ponte orientale di Nassiriya non si è fermato al checkpoint italiano e veniva conseguentemente ingaggiato con armi leggere. Quindi si è prodotta una grande esplosione, seguita da una seconda da cui si è valutato che il veicolo avesse dell’esplosivo” si legge in due resoconti americani del 5 agosto 2004 pubblicati da Wikileaks.
I fatti risalgono alla notte tra il 5 e il 6 agosto 2004 quando a Nassiriya si verificarono scontri tra i miliziani dell’esercito del Mahdi e i soldati italiani, posti a difesa dei tre ponti sull’Eufrate. L’episodio è stato al centro di una vicenda giudiziaria complessa.
A bordo del veicolo, secondo i testimoni, si trovavano una donna incinta, la madre, la sorella e il marito. La ricostruzione raccontata dai file di Wikileaks coincide sostanzialmente con quanto appurato nel corso dell’inchiesta giudiziaria. I militari hanno sempre raccontato una storia diversa: nessuna ambulanza, hanno sostenuto, ma solo un furgone, privo di insegne o di dispositivi luminosi, con a bordo uomini armati che, a un tratto, sono scesi sparando contro i soldati italiani che, dopo aver seguito le procedure, si sono limitati a rispondere al fuoco.
Dai file Wikileaks, incrociati con il rapporto riservato, scritto tre giorni dopo i fatti dal colonnello dei lagunari Emilio Motolese e reso noto nel 2006, emerge che la versione dei soldati italiani si potrebbe riferire a un episodio distinto, verificatosi un’ora dopo, alle 04.25. I soldati “spararono contro un mezzo che non si era fermato al checkpoint. Quindi iniziò – si legge nei file – una battaglia nella quale diversi insorti rimasero uccisi e altri feriti”.
Reiterate minacce contro la base italiana di Nassiriya in Iraq, almeno tre gli attentati pianificati dal 2004 al 2006, successivamente alla strage del novembre 2003 emergono nei file pubblicati da Wikileaks. Il 2 febbraio 2004, a Nassiriya gli insorti iracheni pianificavano un attacco contro la base italiana, colpita due mesi prima dall’attentato che costò la vita a 19 soldati.
Nuova minaccia nel maggio del 2005: gli insorti pianificano un attacco in grande stile contro la base di Nassiriya e quella britannica a Bassora. L’attacco, a colpi di mortaio, razzi, mine e Ied, era previsto per l’ultima settimana di maggio, di sera. Un anno dopo, i gruppi radicali di Nassiriya erano pronti a fomentare le violenze nel corso di manifestazioni popolari ostili alla coalizione in concomitanza con il ritiro italiano, iniziato formalmente il 16 giugno 2006 con il passaggio di consegne all’esercito iracheno. Il piano prevedeva l’utilizzo di ordigni artigianali da far esplodere lungo le strade vicino agli oleodotti e alle stazioni di carburante.
Wikileaks si difende Il portavoce di Wikileaks a Londra ha detto che il gruppo di Julian Assange non è antiamericano. “Non siamo anti-americani” ha detto Kristinn Hrafnsson alla radio Bbc 4, definendo “completamente false” le accuse secondo cui le fughe di notizie (prima di quella di venerdì notte su 400mila documenti sulla guerra in Iraq c’era stato lo scoop di luglio con 77mila dossier afghani) potrebbero servire alla propaganda di gruppi estremisti islamici.
“Un gran numero di persone che appoggiano Wikileaks hanno sinceramente a cuore i principi alla base della società americana e il Primo Emendamento della Costituzione sulla liberta di espressione” ha detto Hrafnsson. “È una coincidenza che questi documenti importanti rivelati negli ultimi mesi riguardino l’esercito americano”.
