Venerdi scorso il colonnello Muammar Gheddafi ha urlato in un microfono davanti ai suoi sostenitori: ”Al momento giusto apriremo i depositi di armi così che tutte le tribù libiche saranno armate e la Libia sarà avvolta dalle fiamme”.
Questo è precisamente il timore di chi sta assistendo alla carneficina, anche perchè il rais nei suoi 40 anni di potere ha neutralizzato ciascuna istituzione che avrebbe potuto contrastare il suo regime.
Contrariamente ai vicini Egitto e Tunisia, rileva il New York Times, la Libia non ha una casta militare in grado di rendere relativamente indolore il collasso di un governo. Non ha un parlamento, non ha sindacati, non ha partiti politici, non ha una società civile e non ha agenzie non-governative. Ha solo l’azienda statale petrolifera, che secondo alcuni esperti potrebbe concorrere alla formazione di un governo nel dopo-Gheddafi.
Se la rivolta dovesse rovesciare il rais, il peggior scenario – quello che toglie il sonno ai servizi di contro-terrorismo americani – è la trasformazione della Libia in reincarnazioni dell’Afghanistan e della Somalia, cosicchè Al Qaeda ed altri gruppi estremisti islamici potrebbero avvantaggiarsi del caos ed operare impunemente.
Ma ci sono altri che potrebbero riempire il vuoto di potere, incluse le potenti tribù libiche o una colizione pluralista di forze di opposizione come quelle che si sono impadronite dell’est del Paese e che stanno stringendo la morsa attorno a Tripoli. Gli ottimisti sperano che l’opposizione rimanga unita, mentre i pessimisti temono che quell’unità resisterà solo fino a quando Gheddafi sarà uscito di scena, e che dopo nel Paese scoppierà una sanguinosa caccia alle streghe.
”Ci sarà un vuoto politico”, afferma Lisa Anderson, presidente dell’Università Americana del Cairo ed esperta di affari libici. Aggiunge: ”E’ molto probabile che verrà un violento periodo di vendette, perchè non credo che i rivoltosi vorranno deporre le armi e tornare a fare i burocrati. Nessuno ha interesse in una anarchia permanente, e occorre quindi escogitare un qualche meccanismo per assicurarsi che la gente consegni le armi. Ma nella attuale costellazione politica libica non vedo nessuno che possa ottenere un simile risultato”.
Esiste una breve lista di istituzioni libiche, ma ciascuna ha i suoi limiti. E nessuna delle tribù è influente a livello nazionale, senza contare che Gheddafi le ha messe una contro l’altra, riaccendendo rivalità secolari anche nei suoi ultimi discorsi. C’è poi l’incognita di un nuovo uomo forte come Gheddafi, che a 27 anni, giovane ufficiale dell’esercito, architettò un golpe senza spargimento di sangue contro la debole monarchia al potere.
La paura più grande – su cui però gli esperti differiscono – è che al potere in Libia possano andare Al Qaeda o gli estremisti islamici domestici, che sono stati oggetto di dure repressioni e che hanno le migliori capacità organizzative di tutti i gruppi di opposizione.
”Siamo stati preoccupati fin dall’inizio della rivolta che Al Qaeda e i suoi accoliti potrebbero cercare opportunità per approfittare del caos”, ha dichiarato un funzionario dell’antiterrorismo americano. Tra questi accoliti ha menzionato il Libyan Islamic Fighting Group, formato da veterani che hanno combattuto contro i sovietici in Afghanistan, e Al Qaeda nel Maghreb Islamico, la succursale dell’organizzazione nel Nord Africa. ”Questi gruppi – ha rilevato – potrebbero avere maggior successo in Libia di quello che hanno finora ottenuto i militanti in Egitto. Noi non li perdiamo d’occhio un istante”.
Frederic Wehrey, analista politico alla Rand Corporation, ha detto che Al Qaeda potrebbe sfruttare le tensioni tribali e prendere piede nei vasti territori ormai senza governo della Libia sud-occidentale, vicino al confine algerino. Ma ha aggiunto che l’Islam Sufi, una variante mistica della principale religione egiziana, non è attratto dalle forme estrene di Salafismo tipiche di Al Qaeda.
Lo psicologo Essam Gheriani ha osservato dal canto suo che poichè gli egiziani sono in prevalenza musulmani sunniti, l’Islam in Egitto rimarrà moderato. E poi, ha dichiarato Arshin Adib-Moghaddam, docente a Londra presso la School of Oriental and African Studies, ”allo stato dei fatti credo che nessun movimento abbia le risorse e la spinta ideologica per monopolizzare il processo politico, anche se potrebbe emergere un ibrido di islamismo e nazionalismo”.
Alla fine dei conti, secondo certi osservatori, la più grande garanzia che la Libia non farà la fine della Somalia è il suo petrolio. Quando ricomincerà a scorrere potrà comprare la tranquillità sociale durante una difficile transizione e garantire che le potenze occidentali non resteranno a guardare se un così importante esportatore di petrolio dovesse incamminarsi verso la disgregazione. L’anno scorso, l’Italia, la Germania e la Francia hanno acquistato una parte sostanziale del milione e mezzo di barili di greggio che la Libia estrae giornalmente, il 2 per cento della produzione mondiale.
