Sanzioni severe per l’Eritrea. Questa la richiesta avanzata dai paesi dell’Unione Africana stanca del costante supporto, logistico e militare che il paese del corno offre ai guerriglieri della Jihad in Somalia. Un aiuto, in mezzi e campi di addestramento, che è già costato la vita a numerosi civili e membri dell’UA in missione di pace nell’area.
La novità, piuttosto, sta nel fatto che per la prima volta i paesi africani si rivolgono, per le sanzioni, direttamente alle Nazioni Unite. Una strategia inedita, conseguenza del fallimento dei precedenti tentativi di istituire una “no-fly zone” sulla Somalia congiunta ad un blocco dei porti. Tentativi ambiziosi e quasi impossibili da tradurre in atto visto che, l’Eritrea, stando a quanto detto dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ha già infranto l’embargo sulle armi previsto nei confronti della Somalia.
Secondo i detrattori dell’Eritrea, in ogni caso, il paese è oramai a tutti gli effetti uno “stato canaglia”, con caratteristiche simili a quelle della Corea del Nord. Partito unico, gigantismo delle forze armate, prigione per i dissidenti sarebbero all’ordine del giorno. E, come conseguenza, il modello eritreo causerebbe instabilità in tutta l’area.
Solo 15 anni fa, il leader del paese africano, Issaias Afwerki, fresco vincitore della lotta per l’inipendenza dall’Etiopia, era stato etichettato da Bill Clinton come emblema di un nuovo “rinascimento africano”. Adesso, invece, Afwerki attacca l’Unione Africana, accusandola di essersi fatta «infinocchiare dall’Etiopia», paese con cui, l’Eritrea è ancora in guerra per questioni di confini. Spalleggiare i guerriglieri somali, in ultima analisi, per il leader eritreo, è semplicemente un modo per danneggiare, indirettamente, proprio l’Etiopia.