Michelle e Barack Obama vogliono dare il buon esempio e indurre gli americani (in percentuale i più obesi del mondo) a frenare, se non eliminare, la loro divorante passione per il junk food: hamburger, hot dogs, patatine fritte, tacos, gelati, ma anche enormi bistecche, chili con carne, bacon, montagne di frittelle intrise di sciroppo di acero e via dicendo.
Non sarĆ unāimpresa facile, ma per cominciare hanno cominciato a coltivare un orticello nel giardino della Casa Bianca: insalata, broccoli, carote, zucchine, pomodori per dire no al colesterolo e cercare di ridurre la stupefacente percentuale di ciccioni negli Stati Uniti.
Obama, che probabilmente non avendo tempo di coltivare lāorticello lascierĆ lāinconbenza alla moglie, ha però dato il suo contributo per unāAmerica meno imbottita di trigliceridi. A tal proposito ha nominato il nuovo responsabile della Food and Drug Organization la severa salutista Margaret Hamburg, che (nonostante il cognome) ha assicurato il suo impegno ad aggiornare leggi datate per migliorare lāalimentazione nazionale.
Inoltre, la first lady ha importato nella Casa Bianca la tendenza del mangiare ālocalā, ovvero il consumo di cibi prodotti o allevati a distanza sostenibile da casa. Frutta e verdura fresche vengono consegnate alla Casa Bianca da fattorie del vicino Maryland, del New Jersey, della Pennsylvania. Lāobiettivo di Michelle ĆØ encomiabile: alimenti freschi e nutrienti non sono un appannaggio esclusivo delle elite, ma componenti essenziali della dieta di ogni famiglia.
Ć stato per questo che in una delle sue ultime apparizioni in pubblico, parlando ai dipendenti del Dipartimento dellāAgricoltura, la first lady ha lodato il lavoro dei ācommunity gardenā, gli orti comunitari di quartiere che interrompono la monotonia del cemento e āforniscono frutta e verdura a tante comunitĆ del nostro paese e nel mondo. Quando il cibo viene cresciuto localmente, ha un sapore migliore e questo ĆØ importante quando si hanno bambini: dai loro una carota veramente dolce, e penseranno che sia una caramellaā.