Segnali di irrigidimento giungono da parte israeliana e palestinese mentre sta per scadere la moratoria di dieci mesi dei nuovi progetti edilizi nelle colonie della Cisgiordania: un evento che rischia di indurre il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) ad abbandonare il tavolo dei negoziati con Israele.
Negli Stati Uniti – dove si trovano Abu Mazen, il capo di stato israeliano Shimon Peres e il ministro della difesa Ehud Barak – il segretario di stato americano, Hillary Clinton cerca in queste ore febbrili di ricucire un compromesso.
Ma un esponente del Likud (Ghilad Erdan, ministro per l’ambiente, esponente della corrente nazionalista del partito) ha oggi ribadito che ”la moratoria si conclude domani e non ci sarà alcuna proroga”.
Israele dovrà respingere le pressioni diplomatiche ”perché – ha spiegato – ormai è una questione di credibilità”. Da parte sua la radio militare ha previsto che Netanyahu (che ieri ha conversato a lungo con Tony Blair) non dichiarerà alcuna proroga della moratoria; ma il premier cercherà di giungere ad una intesa tacita con Usa e Anp (Autorità nazionale palestinese) per proseguire le trattative e limitarsi, sul terreno, ad attività modeste e contenute.
Abu Mazen dal canto suo sembra lanciare segnali di crescente irritazione. Nell’incontro con Hillary Clinton ha respinto alcune formule di compromesso. Poi nel discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha detto che ”Israele deve scegliere tra la pace e gli insediamenti” pur aggiungendo che ”le nostre mani ferite sono ancora in grado di raccogliere i ramoscelli di ulivo dai rami degli alberi abbattuti dalle forze di occupazione” per raggiungere la pace ”entro un anno”.
Nel contempo ha anche inviato una delegazione ad alto livello dell’Anp – guidata dal veterano Azzam el-Ahmad – a Damasco, dal leader politico di Hamas (l’organizzazione che è al potere nella Striscia di Gaza), Khaled Meshaal.
Ancora pochi giorni fa in Cisgiordania i servizi di sicurezza palestinesi erano impegnati a dare la caccia ai miliziani di Hamas responsabili dei gravi attentati anti-israeliani avvenuti all’inizio di settembre. Ieri, a Damasco, i rappresentanti di Hamas e di al-Fatah hanno invece ripreso in mano la questione della riconciliazione nazionale, patrocinata dall’Egitto.
Per ore sono stati discussi diversi argomenti sui quali è stato mantenuto il segreto. Ma fonti giornalistiche palestinesi hanno appreso che le due delegazioni hanno toccato fra l’altro la questione della sicurezza: ossia chi controllerebbe in definitiva le svariate forze di sicurezza di Hamas a Gaza, e dell’Anp in Cisgiordania, qualora si giungesse ad una riconciliazione nazionale palestinese.
In questo più ampio contesto ha riacquistato ieri la libertà Mohammed Debabesh, un responsabile dei servizi di sicurezza di Hamas, arrestato giorni fa all’aeroporto del Cairo. Il quotidiano Maariv lo ha indicato come ”l’uomo dei segreti”: ossia colui che sarebbe al corrente di tutte le attività clandestine di Hamas nei Territori e fuori.
L’incontro di Damasco è stato probabilmente registrato a Gerusalemme e a Washington come un segno di impazienza di Abu Mazen per l’andamento dei colloqui con Israele. Ma la sensazione è anche che l’Anp, malgrado tutto, resti interessata a proseguire le trattative.
Intanto in Israele il quadro politico si va rapidamente radicalizzando. Il movimento Peace Now ha lanciato oggi un appello in extremis al partito laburista di Barak per convincerlo ad uscire dal governo qualora le trattative con Abu Mazen si incagliassero sulla questione delle colonie.
Il movimento dei coloni, da parte sua, ha organizzato per domani un sopralluogo in Cisgiordania di migliaia di attivisti del Likud. Al termine della giornata saranno condotti nel piccolo insediamento di Revava’ dove avverra’ il ‘conto alla rovescia’ per la fine della moratoria. Fonti palestinesi, non confermate da Israele, dicono che a Revava’ gia’ oggi i coloni hanno illegalmente installato venti alloggi prefabbricati.