Molti intellettuali per sfuggire alla cappa della censura, per godere di una libertà più ampia, hanno scelto la via dell’esilio, installandosi nella capitali europee del Nord, a Londra o Parigi, da cui hanno continuato a scrivere e ad intervenire nel dibattito culturale, perdendo così il contatto con i loro concittadini.
Una delle più grandi delusioni subite dai protestatori della Primavera è stata l’ambiguità con la quale Adunis, poeta e saggista di origine siriana, da anni residente a Parigi, ha commentato la lotta siriana contro il potere dittatoriale. In una lettera resa pubblica dalla stampa, Adunis si è rivolto al presidente Bashar al-Assad, dittatore dal pugno di ferra e regista di una spietata repressione che ha già portato alla morte di più di 3000 persone, come al «presidente eletto», una frase infelice in un paese in cui il predecessore di Bashar era il padre Hafiz e dove non esistono elezioni libere o libertà di opinione.
Inoltre il poeta, non ha risparmiato critiche al movimento di protesta per il suo uso della violenza e non ha nemmeno alzato la voce contro il sangue versato dal popolo in questi mesi a causa delle operazioni militari volute da Assad. Adunis, negli anni 60 e 70 pensatore ribelle e alfiere della modernità araba è oggi un’imbarazzante voce di contrappunto alle aspirazioni legittime della rivoluzione siriana.
Se gli intellettuali, pur con qualche eccezione, non sono stati in grado di guidare, a volte nemmeno di comprendere, la Rivoluzione, questo vuol dire forse che le Rivoluzioni Arabe non hanno semplicemente bisogno di un’ideologia o di portaparola. In un’era post-ideologica, l’intellettuale non è più il profeta della libertà , ma acquista il ruolo, più defilato, più laico, più democratico, di commentatore, di giornalista o di organizzatore.
