BEIRUT – Stretta del regime alla protesta via web anche attraverso il bando degli smartphone, mentre si allunga di un nuovo atto la commedia in corso da oltre un mese tra la Lega Araba e le autorità siriane per la firma del protocollo per l'invio di osservatori arabi nel Paese.
Secondo il sito internet libanese ElNashra.com, le autorità di Damasco hanno deciso di vietare l'importazione – e implicitamente l'uso – di 'iPhone', il noto telefono cellulare dotato di videocamera e applicazioni per la condivisione di informazioni sui social network, usato dagli attivisti per denunciare l'incessante e sanguinosa repressione in atto da quasi nove mesi e invocare la caduta del regime.
Un paradosso se si pensa che siriano, di Homs, era il padre biologico di Steve Jobs, defunto cofondatore e guru della Apple.
Il Centro siriano per i media e per la libertà di informazione, diretto da Mazen Darwish, giornalista siriano più volte in carcere, denuncia invece l'arresto nelle ultime ore della nota blogger Razan Ghazzawi, curatrice del sito Internet RazanGhazzawi.com, mentre tentava di attraversare la frontiera con la Giordania.
L'ultimo bilancio dell'Onu parla di almeno 4.000 persone uccise in otto mesi dalle forze fedeli al presidente Bashar al Assad.
I media ufficiali attribuiscono le violenze a bande di terroristi armati dai Paesi confinanti e agenti di un presunto complotto americano-saudita-sionista.
Il portavoce del ministero degli Esteri siriano ha oggi affermato che Damasco ha "risposto positivamente" all'ennesima sollecitazione della Lega Araba, che aveva fissato a ieri, domenica, un nuovo ultimatum per il raggiungimento dell'accordo sul protocollo relativo alla missione degli osservatori.
Dal Cairo, l'ufficio del segretario generale dell'organizzazione panaraba ha fatto sapere di avere sì ricevuto un nuovo messaggio da Damasco, firmato dal ministro degli Esteri Walid al Muallim, ma che nella lettera i siriani pongono una serie di condizioni alla firma del protocollo: prime fra tutte, l'annullamento delle sanzioni economico-commerciali decise dalla Lega Araba dieci giorni fa.
Muallim, secondo i vertici dell'organizzazione con base in Egitto, ha inoltre chiesto che l'accordo per gli osservatori venga firmato a Damasco e non al Cairo e si è detto contrario all'idea che gli osservatori arabi si rechino nei campi profughi che in Libano, Turchia e Giordania ospitano i civili siriani in fuga dalla repressione.
Sul terreno, secondo i Comitati di coordinamento locali degli attivisti, sono state oggi uccise dalle forze fedeli al presidente Bashar al Assad almeno 13 persone, tutte nella regione centrale di Homs.
L'agenzia ufficiale Sana dal canto suo parla dell'uccisione di quattro terroristi a Homs, in date non precisate, da parte delle forze dell'ordine. Questo all'indomani della presunta diserzione – riferita dagli attivisti – di una decina di membri dei servizi di sicurezza dell'Aeronautica, principale agenzia di controllo usata dal regime nella repressione dei militari disertori, nella regione nord-occidentale di Idlib, confinante con la Turchia.
A pochi giorni dall'imposizione da parte di Ankara delle sue prime sanzioni unilaterali economico-commerciali contro il regime di Damasco, le autorità siriane hanno risposto oggi imponendo una tassa del 30% sull'importazione di prodotti turchi, un'altra sull'acquisto di combustibile domestico proveniente dalla Turchia e una terza sull'ingresso di veicoli turchi in Siria.
Già giovedì scorso, all'indomani dell'annuncio delle prime misure restrittive di Ankara, Damasco aveva annunciato la sospensione della zona di libero scambio creata tra i due Paesi nel 2004. La stampa ufficiale siriana ha oggi annunciato che queste nuove misure anti-turche sono prese "nel nome dell'interesse nazionale" e che "la Turchia sarà il maggior perdente".
