
BEIRUT, LIBANO – Inizialmente solo sfiorata dalla contestazione e conseguente repressione del regime di Bashar al Assad, ora l’antica citta’ di Palmira, nel centro della Siria, da circa due settimane e’ sotto assedio. Lo riferiscono gli abitanti della citta’ nuova, sorta poco distante dalla famosa localita’ archeologica inserita tra i siti ‘patrimonio mondiale dell’Unesco’.
”I militari circondano Palmira da tutte le parti: la cittadella araba, gli uliveti e i palmeti, il deserto e la citta’ – ha raccontato al telefono uno dei circa 60.000 residenti, che non ha voluto dire il suo nome per paura di ritorsioni – I soldati di Assad si sono installati nel castello arabo che sovrasta le rovine romane e la citta’ nuova e sparano su tutto cio’ che si muove”.
Altri abitanti hanno riferito che comunque, da quando lo scorso 4 febbraio i soldati hanno preso posizione in forze sotto il comando di un nuovo generale (alawita, come gli Assad) inviato a sostituire il precedente (sunnita), la situazione e’ improvvisamente peggiorata. Sarebbero decine le persone che si sono allontanate per paura di incontrollabili esplosioni di violenza e molti alberi d’ulivo, una delle piu’ straordinarie attrattive per i turisti che fino a pochi mesi fa sempre piu’ numerosi si recavano a visitare le antiche mura della regina Zenobia, sono stati tagliati e bruciati.
Lo stesso sarebbe accaduto a molte palme da dattero. ”Ci vorranno almeno dieci anni per far ripartire la produzione”, lamenta un fuggitivo. Le comunicazioni con la citta’, situata in pieno deserto, sono comunque molto difficili. E chi e’ fuggito ha paura di parlare, temendo rappresaglie nei confronti di parenti e amici. Ci sarebbero gia’ stati tre uccisi e diversi ‘scomparsi’. E i posti di blocco sono dappertutto.
Mentre Assad non si ferma neanche davanti ai patrimoni mondiali dell’Unesco, la comunità internazionale non riesce a trovare il modo di fermare il massacro che da undici mesi ha causato la morte di almeno 5.400 siriani. E le previsioni che in un modo o nell’altro riesca a farlo non inducono a bene sperare. Proprio domenica il capo di stato maggiore delle forze armate americane, Martin Dempsey, ha detto che un eventuale intervento militare in Siria ”è molto difficile” e che è ”prematuro” pensare di armare l’opposizione al regime di Assad.
”Piuttosto che prendere decisioni unilaterali, penso che la giusta strada al momento sia quella di rafforzare il consenso internazionale per fare sempre piu’ pressioni sul regime”, ha detto Dempesy in un’intervista alla Cnn. Ma quando le Nazioni Unite hanno cercato di varare una risoluzione di condanna di Assad, Russia e Cina hanno posto il veto.
Per quel che riguarda la possibilita’ di fornire armi alle forze che si oppongono al regime di Assad, Dempsey ha sottolineato come al momento ”sia difficile individuare con certezza quali sono i movimenti di opposizione in Siria”. Senza considerare – ha aggiunto – ”le informazioni secondo cui Al Qaeda sarebbe coinvolta nel sostenere l’opposizione”.
La Nbc ha frattanto rivelato che sono parecchi i droni che l’amministrazione Usa sta utilizzando in Siria per seguire la situazione e gli attacchi condotti dai militari di Assad contro i gruppi di ribelli e contro i civili.
