
WASHINGTON, STATI UNITI – L’attacco alla Siria alla fine ci sarà, ma non in tempi brevi. E’ la Gran Bretagna di David Cameron, a sorpresa, a fermare le lancette del conto alla rovescia per il colpo contro il regime di Assad. Londra – è infatti il contenuto della mozione che il governo presenta giovedi al Parlamento riconvocato in tutta fretta dalle ferie – continua a ritenere necessaria una risposta, “anche senza l’Onu”, allo scempio perpetrato da Damasco con le armi chimiche. Ma prima di un’azione militare ritiene che sul tavolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite debba arrivare il rapporto degli ispettori che stanno indagando sul terreno in Siria.
E agli esperti del Palazzo di Vetro, ha fatto sapere Ban ki-Moon in giornata, servono altri quattro giorni. Il veto scontato di Russia e Cina – ribadito oggi in una riunione degli ambasciatori dei 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – e anche lo spettro dell’Iraq che continua ad aleggiare a 10 anni dall’invasione, sono riusciti quindi per il momento a far slittare l’attacco che martedi secondo certi media doveva cominciare giovedi. Anche gli Usa ripetono che nessuna decisione è stata ancora presa. Ma Washington si prepara comunque a mettere nelle prossime ore sul piatto un cospicuo dossier di prove di colpevolezza del regime, mentre il segretario generale della Nato Anders Rasmussen ha avvertito che l’uso di armi chimiche “non puo’ restare senza risposta”.
Si aspetterà comunque il risultato del lavoro degli ispettori Onu, malgrado secondo il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente Barack Obama, Susan Rice, la loro sia una missione senza senso. In un messaggio all’ambasciatore Usa all’Onu e ad altri esponenti del Palazzo di Vetro, Rice ha affermato, riferisce il Wsj, che la missione “ci dirà quello che già sappiamo, ovvero che le armi chimiche sono state usate. Non ci dirà chi le ha usate, ma questo già lo sappiamo”. E’ stato proprio il premier britannico Cameron a cercare di accelerare annunciando una proposta di risoluzione della Gran Bretagna al Consiglio di sicurezza ”per l’autorizzazione di misure necessarie alla protezione di civili”. Tentativo naufragato.
”E’ prematuro discutere di una reazione del Consiglio di sicurezza finche’ gli ispettori in Siria non presenteranno il loro rapporto”, lo aveva fermato il primo vice ministro degli Esteri russo Vladimir Titov, prefigurando il fallimento della riunione degli ambasciatori di Usa, Gb, Francia, Russia e Cina che si sarebbe tenuta di li a poco. Si è trattato di un argomento evidentemente valido, anche perche’ – secondo alcune indiscrezioni – il dossier di prove raccolto dagli Usa è cospicuo, ma incompleto.
Contiene informazioni d’intelligence, resoconti, filmati video, dichiarazioni e rapporti di medici sul campo. E soprattutto, secondo quanto riferisce la rivista Foreign Policy, intercettazioni di telefonate in cui un funzionario del ministero della Difesa siriano chiede al comandante di un’unità per le armi chimiche spiegazioni su un attacco con gas nervino, appena poche ore dopo la strage del 21 agosto. Ma non contiene le prove solitamente determinati, ovvero quelle raccolte sul campo, come campioni di terreno, di sangue e altri elementi tangibili positivi ai test per il gas nervino. In ogni caso, secondo quanto ha detto un alto funzionario americano alla Nbc, e’ stato “passato il punto di non ritorno” e i raid contro obiettivi siriani scatteranno comunque “nell’arco di pochi giorni”, mentre un’altra fonte ha precisato che “nessuna azione militare sarà unilaterale. Dovrà includere i nostri alleati internazionali”.
E in questo quadro, la Casa Bianca ha fatto sapere che dal 21 agosto, Obama e i suoi piu’ stretti collaboratori hanno fatto almeno 88 telefonate a leader stranieri per cercare di costruire un consenso più largo possibile. A Roma intanto il ministro degli Esteri Emma Bonino ha sottolineato che anche con un eventuale via libera dell’Onu l’intervento italiano non sarebbe automatico, ma farebbe scattare un “serio dibattito in Parlamento”. E proprio all’Onu l’ambasciatore siriano ha chiesto al segretario generale Ban Ki-moon di incaricare “immediatamente” gli ispettori in Siria di un’inchiesta su tre nuovi presunti attacchi di ribelli sull’esercito di Damasco.
Attraverso l’Iran, il regime siriano ha allo stesso tempo minacciato in maniera esplicita Israele. “Se Damasco viene attaccata, anche Tel Aviv verrà presa di mira. Una vera guerra contro la Siria produrrà una licenza per attaccare Israele”, ha scritto l’agenzia iraniana Fars, vicina al Corpo d’elite dei Pasdaran, citando “un’alta fonte delle forze armate siriane”. E Damasco ha sollevato anche lo spettro dei gas letali contro i Paesi europei: Usa, Gran Bretagna e Francia, ha detto il viceministro degli Esteri Faisal Maqdad, hanno aiutato “i terroristi” ad usare le armi chimiche in Siria, e gli stessi gruppi “le useranno presto contro i popoli d’Europa”.
