Si torna a parlare di primarie fra i democratici. Dopo il recente accordo con i repubblicani per estendere la riduzione delle tasse anche ai ricchi, che i suoi critici democratici progressisti considerano abominevole e un tradimento rispetto agli impegni presi nella campagna elettorale del 2008, il presidente Barack Obama ha visto crescere nelle ultime settimane un dibattito e una serie di mormorii al cui centro c’è la domanda: questo capo dell’esecutivo eletto su una piattaforma di ”speranza e cambiamento” dovrebbe affrontare le elezioni primarie nella campagna per le presidenziali del 2012?
Ammesso e non concesso che tali primarie si svolgessero e che Obama le perdesse, perderebbe anche la Casa Bianca a vantaggio del suo avversario democratico o repubblicano – se fosse eletto alle elezioni generali.
Il dibattito non è al momento quello che si definirebbe infuocato, ma piuttosto un mormorio trasmesso su blog e via e-mail, non ultimo perchè allo stato dei fatti non si scorge neanche in lontananza un possibile sfidante e perchè – scrive il New York Times – ”una sfida del genere sarebbe paragonabile a una ipotetica tra Obama e David Hasselhoff”, un attore che ha interpretato la parte del bagnino nella serie televisiva di grande successo Baywatch.
Ma che la possibilità di una primaria venga pur soltanto discussa mostra le profonde crepe che si sono venute a creare tra Obama e i progressisti del suo partito, e la confusione che prevale tra i democratici su cosa immaginare per rimettere le cose a posto.
Al dibattito hanno cominciato a prendere parte anche personaggi di spicco. Lo scorso weekend tre scrittori progressisti hanno argomentato che Obama dovrebbe affrontare le elezioni primarie prima di ricandidarsi alla Casa Bianca nel 2012.
Michael Lerner, direttore della rivista Tikkun, ha scritto sul Washington Post che le primarie sarebbero ”l’unico vero modo di salvare la presidenza di Obama” facendola spostare a sinistra. Gli ha fatto eco su The Huffington Post Robert Kuttner, co-fondatore di The American Prospect, e una delle più pungenti voci populiste, suggerendo che la disfida dovrebbe svolgersi nello stato dello Iowa, che tradizionalmente nei suoi ”caucus” fornisce le prime indicazioni su chi avrebbe la maggiore possibilità di conquistare la Casa Bianca.
Sempre su The Huffington Post, Clarence B. Jones, un tempo consigliere del reverendo Martin Luther King, ha lanciato la bordata più pesante affermando che i progressisti dovrebbero abbandonare Obama subito, proprio come il reverendo King fece nei confronti del presidente Lyndon Johnson nel 1968. ”Non è facile – ha scritto Jones – immaginare di sfidare il primo presidente afro-americano – ma sfortunatamente è giunto il momento di farlo”.
Detto questo, la Casa Bianca non mostra peraltro di essere preoccupata. ”Chiunque pensi a primarie con Obama – ha detto un funzionario che ha voluto mantenere l’anonimato – ha in testa tanto cervello quanto ne ha il buco di una ciambella”. Del resto non tutte le sfide primarie a presidenti in carica sono intese a sconfiggerli. Lo sono state, senza successo, quelle di Edward Kennedy nel 1980 e di Ronald Reagan nel 1975.
Ma ci sono state anche primarie ”ideologiche”, intese a spingere il presidente a cambiare politica, e non a sostituirlo. Come fecero, con una certa misura di successo, Eugene McCarthy nel 1968 e Patrick Buchanan 24 anni dopo. Questi candidati di protesta hanno bisogno solo di vincere in uno o due stati per avere un impatto, maggiore o minore, sull’orientamento del partito, spostandone l’asse più a destra o più a sinistra.