Aveva lasciato, l’allora don Piacenza, una carriera che stava diventando oscura all’ombra di un nuovo arcivescovo, monsignor Giovanni Canestri, venuto a gestire la transizione difficilissima del dopo Siri, per l’ignoto Vaticano. Ma era stato proprio il successore del cardinale principe a suggerirgli: “Provi a andare in Vaticano a Roma, cambi aria, si perfezioni nei suoi studi teologici, allarghi il suo orizzonte”.
Il saggio Canestri aveva capito che non c’era spazio per quel sacerdote troppo legato alla figura del suo capo, che, sceso dalla cattedra di san Lorenzo si era rifugiato in una villa riservata sulle alture di un quartiere residenziale genovese e sarebbe morto solo un anno dopo, senza lasciti, senza eredità dirette ai suoi delfini. Quella era la città dove prendeva piede l’inarrestabile don Andrea Gallo, il prete dei drogati e delle prostitute e dove furoreggiava l’altro discepolo di Siri, don baget Bozzo, allora già rapito dal sogno politico di Craxi, che lo stesso Siri era stato costretto a sospendere a divinis proprio per le sue intemperanze politiche.
Quella carriera romana, che era incominciata timidamente all’ombra del pontificato travolgente di Wojtyla avrebbe dato frutti con il tempo, con i lustri interi, durante i quali l’ex liceale, che ancora molti ricordano per la delicata timidezza, ha veramente scalato i gradoni del Vaticano, passando da piccole sacrestie a lunghi corridoi, salendo i piani profumati di incenso delle stanze più segrete. Fino alla nomina vescovile e ai primi incarichi importanti nel sistema di potere vaticano.
Piacenza guardava a Genova con in cuore il sogno segreto di tornarvi, magari sulla cattedra del suo maestro, ma intanto conquistava la fiducia degli uomini chiave che ruotavano intorno al papa e che sceglievano chi piazzare nelle posizioni di comando della articolata gerarchia della Chiesa caput mundi. Prima di arrivare alla prefettura della Congregazione della fede, la posizione dalla quale si governano i 400 mila preti del mondo, il clero di ogni continente, seppure attraverso il filtro dei vescovi locali e dei Superiori degli ordini religiosi, Piacenza è stato segretario di quella stessa Congregazione, aspirante addirittura più che legittimato alla prefettura della Congregazione dei Vescovi, la più potente, a lungo governata da un “cannone” vaticano come Giovanni Battista Re. E prima ancora era stato praticamente ministro dei beni Culturali del Vaticano.
Le sue fortune, quelle che lo hanno portato oggi al ruolo di capo del clero e di cardinale in pectore nel concistoro del prossimo mese di novembre, che consacrerà per la prima volta da tempo immemore due genovesi nel sacro collegio, lui e Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, non che presidente della Cei, sono combaciate con l’ascesa vertiginosa e la discussa leadership del segretario di Stato Tarcisio Bertone.
La nomina di Piacenza è un altro successo del cardinale segretario di Stato che non è un genovese, essendo nato a Romagnano Sesia, vicino a Ivrea, ma che è decollato verso le leve di comando della Chiesa proprio da Genova, dove è stato arcivescovo per tre anni e dove ha conquistato la berretta cardinalizia.
Piacenza è un “uomo” di Bertone, così come lo sono in tutto o in parte con significative distanze gli altri genovesi e liguri che oggi fanno da corona al papa. Il più distante è proprio Bagnasco, che Bertone volle alla presidenza della Cei per uscire dal regno di ferro del cardinale Camillo Ruini, ma che poi si dimostrò troppo autonomo rispetto alla linea del segretario di Stato, un salesiano tutto d’un pezzo. Con Bertone è sicuramente l’ex vescovo di Savona, Domenico Calcagno, a cui sono affidate le finanze vaticane, mica bruscolini. E Bertone ha voluto nel ruolo di cerimoniere del papa don Guido Marini, oggi monsignore, domani vescovo, quel prelato che sta sempre un passo di fianco o dietro il papa e che governa tutti i riti nei quali il Pontefice compare urbi et orbi.
Un compito formale fino a che si vuole, fatto di liturgia e di abiti, pianete, mitre, pastorali, stole, cerimonie, incensi, tradizioni, preghiere, inchini, riverenze, benedizioni, sottilissime gerarchie, ma anche di sostanza. Se la forma è sostanza, soprattutto quando si discute di quella della liturgia di Santa Romana Chiesa, uno dei sistemi infallibili attraverso i quali la religione cattolica è passata attraverso i secoli e le turbolenze del mondo intero, salvando se stessa.