”In numerose occasioni abbiamo sottolineato al procuratore generale Aloko la necessità di porre fine agli interventi suoi e del presidente Karzai che hanno autorizzato il rilascio di detenuti in attesa di processo e permesso a individui pericolosi di essere liberi o di ritornare ai campi di battaglia senza mai affrontare un tribunale afghano”: è quanto si afferma in un dispaccio dell’ambasciata Usa a Kabul del 2009 pubblicato dal New York Times circa gli appoggi che il presidente afghano Hamid Karzai avrebbe garantito a trafficanti di droga e talebani combattenti. ”Nonostante le nostre lamentele ed manifestazioni di preoccupazione”, è scritto fra l’altro nella sintesi del cable, ”le scarcerazioni prima dei processi continuano”.
“Nel 2008 ci furono 104 rilasci” di detenuti in attesa di processo, si precisa nel messaggio riservato citando altre 35 scarcerazioni relative al primo semestre dell’anno successivo. In particolare i poliziotti arrestati per i 124 chili di eroina, conosciuti come gli ”Zahir five”, furono graziati con la ”motivazione che erano imparentati alla lontana con due persone rese martiri durante la guerra civile”.
”Karzai – si afferma ancora nel cable – interferì nel caso antidroga di Haji Amanullah, il cui padre è un facoltoso uomo d’affari e uno dei suoi sostenitori. Senza alcuna autorità costituzionale, Karzai ordinò alla polizia di condurre una seconda inchiesta da cui risultò che l’imputato era stato calunniato”.
In un altro caso, ”un’indagine aveva concluso che 26 chili di eroina sequestrata in un veicolo appartenevano al colonnello Jaweed, capo della polizia autostradale della provincia di Badakshan” e ”nipote di un potente membro del parlamento”: al momento in cui veniva scritto il cable, l’alto funzionario era in carcere a Pol-i-Charkhi ma circolavano ”credibili, sebbene non confermate, informazioni di intelligence secondo le quali il presidente ha firmato una lettera di perdono per Jaweed, la quale non è stata ancora inoltrata alla Corte suprema”.