ROMA – La comunione ai divorziati risposati sì “ma solo se vivono nella castità“. E’ l’opinione espressa dal cardinale Ennio Antonelli nel suo libro Crisi del matrimonio ed eucarestia (Edizioni Ares) pubblicato in vista del Sinodo sulla Famiglia di ottobre. Per l’ex presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia ed ex arcivescovo di Firenze, le aperture di Papa Francesco sullo spinoso tema vanno prese con cautela. La conditio sine qua non riaccogliere in Chiesa i divorziati convolati a seconde nozze è, secondo Antonelli, “la perfetta continenza sessuale”, o almeno l’impegno a “vivere come fratello e sorella”. Solo in presenza di ciò si può poi eventualmente chiudere un occhio su qualche “ricaduta”. Nulla che una sana confessione non possa lavare via.
Ne parla Giacomo Galeazzi sul Secolo XIX, dipingendo anche un ritratto aggiornato del prelato che fu braccio destro del cardinale Camillo Ruini, quando era alla guida della Cei:
Antonelli, legato al movimento dei Focolarini, si è laureato in lettere classiche all’Università di Perugia, ha insegnato per alcuni anni Lettere e Storia dell’arte nel liceo classico e nell’istituto d’arte. Dal 1968 al 1983 è stato docente di Teologia dogmatica all’istituto teologico di Assisi e ha insegnato nelle scuole di formazione teologica in varie diocesi dell’Umbria. Come segretario generale della Cei, è stato a lungo il braccio destro del leader dell’episcopato, Camillo Ruini.
Nell’ultima parte del pontificato di Karol Wojtyla, si è dedicato soprattutto alla preparazione degli Orientamenti Pastorali decennali della Chiesa italiana, in sintonia con le indicazioni date da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte”. Secondo il cardinale Antonelli «le unioni illegittime dei divorziati risposati e dei conviventi sono fatti pubblici e manifesti. La Chiesa le disapprova come situazioni oggettive di peccato. Se le approvasse quasi fossero il bene che al momento è possibile per essi, devierebbe dalla legge della gradualità alla gradualità della legge, condannata da san Giovanni Paolo II».
Inoltre «un deciso cambiamento pastorale è fortemente caldeggiato dai media; è largamente atteso dall’opinione pubblica e anche da molti cattolici, laici e chierici», ammette l’ex arcivescovo di Firenze ed ex presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia, ricordando che «il cambiamento pastorale è ispirato dal desiderio di rendere la Chiesa più accogliente e attraente verso tante persone ferite dalla crisi del matrimonio, largamente diffusa nella società contemporanea». E «poiché le unioni illegittime sono fatti pubblici e manifesti, la Chiesa non può neppure trincerarsi nel silenzio e nella tolleranza. È costretta a intervenire per disapprovare apertamente tali situazioni oggettive di peccato», sottolinea il porporato.
Tuttavia, riconosce Antonelli, «è possibile che i conviventi soggettivamente non siano pienamente responsabili, a motivo dei condizionamenti esistenziali e culturali, psichici e sociali». È possibile perfino «che siano in grazia di Dio e abbiano le disposizioni interiori necessarie per ricevere l’Eucaristia». Tutto questo però «non si può presumere; deve essere verificato con un attento discernimento secondo la legge della gradualità». Insomma, «bisogna discernere se i conviventi sono davvero decisi a salire verso la vetta della montagna, che per essi è la perfetta continenza sessuale».
E «solo se c’è questo impegno sincero di conversione, eventuali passi falsi, eventuali ricadute nei rapporti sessuali possono comportare una responsabilità attenuata». E «quando nella Chiesa sotto la guida dei pastori si legge e si interpreta correttamente la Sacra Scrittura, il Cristo risorto rivolge ancora la sua parola agli uomini, una parola viva, carica della forza dello Spirito Santo». Insomma, «non insegna solo una dottrina, ma realizza un incontro e un evento di grazia: suscita la fede, rigenera chi ascolta e lo fa passare dalla morte alla vita, raduna il popolo di Dio e lo conduce per le sue vie».