MILANO – Discriminatorio fu il licenziamento di una redattrice della sede Rai di Milano, intimatole il 24 aprile del 2014 all’esito di una procedura di licenziamento collettivo avviata il 31 marzo dello stesso anno. Lo hanno stabilito i giudici del Tribunale di Milano che hanno confermato la nullità del licenziamento.
Franco Abruzzo pubblica sul suo sito il testo integrale della sentenza che ignora la sentenza n. 17.589/2015 delle Sezioni Unite Civili della Cassazione secondo la quale i giornalisti non possono andare in pensione a 70 anni, ma valgono i 65 anni previsti dall’Inpgi/1.
Tribunale Ordinario di Milano – Sezione Lavoro – Udienza del 4/09/2015 N. 4127/2015 e N. 4179/2015 R.G.
Repubblica Italiana – In nome del Popolo Italiano Il Giudice Dr. Laura Bertoli quale giudice del lavoro ha pronunciato la seguente
Sentenza nelle cause riunite pendenti tra RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA (C.F. 06382641006), con il patrocinio dell’avv. CAPELLO CARLO GAETANO e dell’avv. PERSIANI MATTIA, elettivamente domiciliata in VIA FONTANA 5 in MILANO presso lo studio di quest’ultimo – RICORRENTE nel giudizio RG 4127/15- RESISTENTE nel giudizio RG 4179/2015
contro
R. B. con il patrocinio dell’avv. BONESCHI LUCA, dell’avv. Andrea Ottolini, dell’avv. Angelo Sica e dell’avv. Francesco Rocco di Torrepadula, elettivamente domiciliata in PIAZZA UMANITARIA, 2 MILANO presso lo studio dell’avv. BONESCHI LUCA
RESISTENTE nel giudizio RG 4127/2015-RICORRENTE nel giudizio RG 4179/2015
Con distinti ricorsi depositati in data 9.4.2015 e10.4.2015 Avente ad OGGETTO: opposizione ordinanza ex L. 92/2012 .All’udienza di discussione i procuratori delle parti concludevano come in atti.
FATTO E DIRITTO – L’ordinanza oggetto di opposizione ha accolto il ricorso con il quale R. B. ha chiesto accertarsi la nullità del licenziamento intimatole il 24/4/2014 da RAI s.p.a., all’esito di una procedura di licenziamento collettivo avviata il 31/3/2014.
Detta ordinanza è stata opposta da entrambe le parti in causa: da parte della società, che ha contestato le motivazioni adottate e le conclusioni esposte dal giudice della fase sommaria nel provvedimento dichiarativo di nullità del licenziamento; da parte della ricorrente, che ha censurato la determinazione fatta dal giudice della fase sommaria della misura dell’ultima retribuzione globale di fatto mensile cui commisurare il risarcimento ex art. 18 comma primo legge n. 300/1970.
L’opposizione proposta dalla società Rai s.p.a. deve essere respinta, mentre va accolta l’opposizione di R. B..
Con la comunicazione di apertura della procedura di riduzione del personale (doc. 38 ricorrente) Rai ha dato atto della necessità di licenziare 80 giornalisti, variamente collocati sul territorio nazionale, a causa della necessità di contenere i costi del personale, divenuti esorbitanti.
Nel verbale congiunto di accordo del 2 aprile 2014 sottoscritto da RAI s.p.a. e da Usigrai si legge che le parti, derogando i criteri di scelta ex art. 5 legge n. 223/1991, hanno convenuto “al fine di mitigare le conseguenze sul piano sociale (dei licenziamenti), l’applicazione dei seguenti criteri, funzionali al perseguimento delle esigenze indicate in premessa, da intendersi, pertanto, integralmente sostitutivi di quelli legali: a) data di nascita fino al 31 dicembre 1949; b) possesso, alla data di sottoscrizione del presente accordo, dei requisiti per l’accesso al trattamento di pensione a carico dell’INPGI, Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (trattamento di vecchiaia o di anzianità) ovvero maturazione del diritto all’accesso ai predetti trattamenti pensionistici nel corso di vigenza della procedura, come definita al successivo punto 8. Resta inteso che, stante il condiviso obiettivo di una piena e completa attuazione del principio delle pari opportunità tra uomini e donne, tale criterio troverà applicazione indipendentemente dalla diversa età prevista per l’accesso al trattamento di vecchiaia per i diversi generi. Resta altresì inteso che, per i soggetti come sopra individuati, la cessazione del rapporto di lavoro non potrà avvenire in una data antecedente a quella di effettiva maturazione del diritto ad un trattamento pensionistico a carico dell’INPGI” (doc. 37, fascicolo ricorrente).
Nel medesimo accordo si è altresì stabilito che “i requisiti di cui alle lettere a) e b) si intendono congiunti ai fini dell’applicazione delle previsioni di quel presente accordo. Pertanto, la graduatoria dei giornalisti interessati sarà stilata – nell’ambito di coloro che abbiano una data di nascita non successiva al 31 dicembre 1949 – secondo un ordine di precedenza costituito dalla data più prossima di maturazione del requisito di accesso ad uno qualunque dei trattamenti pensionistici di cui al precedente punto 5, lettera b), in virtù delle informazioni risultanti dagli estratti contributivi rilasciati… dagli interessati in base a quanto concordato con l’accordo del 28 giugno 2013. In mancanza, l’azienda procederà all’applicazione del presente accordo sulla base delle informazioni in suo possesso…” (doc. 37, fascicolo ricorrente).
Infine, al punto 8 dell’accordo, le parti, avvalendosi della facoltà di deroga di cui all’art. 8 legge n. 236/93, hanno anche concordato che le 29 cessazioni di rapporti di lavoro – a tante sono state ridotte le 80 inizialmente dichiarate – effettuate in attuazione della procedura potessero intervenire in un arco temporale più ampio dei 120 giorni previsti in via ordinaria e quindi fino alla data del 30 novembre 2014.
Tale essendo il contenuto dell’accordo, come correttamente evidenziato dal giudice della fase sommaria l’applicazione dei criteri di scelta indicati in sede sindacale si è di fatto tradotta in unadiscriminazione dei lavoratori che avevano una età uguale o superiore a 65 anni.
L’applicazione del criterio sub a) – data di nascita del lavoratore sino al 31.12.1949 –, unita alla dilatazione della facoltà di intimare recessi sino alla data del 30.11.2014, ha comportato infatti che, con la sola eccezione di una finestra temporale di lavoratori nati nel mese di dicembre 1949, la platea dei dipendenti selezionati dal primo criterio – ai quali poi astrattamente applicare il requisito sub b) – fosse composta da 65enni o ultra sessantacinquenni.
Così facendo, sono stati esclusi dalla platea dei lavoratori entro la quale individuare i dipendenti eccedentari tutti i giornalisti infrasessanticinquenni che – pur privi del requisito anagrafico richiesto (in uno con una anzianità contributiva almeno ventennale) per la erogazione della pensione di vecchiaia – avessero nondimeno maturato una anzianità contributiva tale da giustificare, pur se infrasessanticinquenni, l’erogazione di altro trattamento pensionistico, e cioè quello di anzianità.
Procedendo in tal modo, l’azienda ha di fatto escluso dalla comparazione i giornalisti che, più giovani anagraficamente, fossero nondimeno in possesso dei requisiti pensionistici, discriminando – a parità, per così dire, di “chanches pensionistiche” – i lavoratori sessantacinquenni o ultrasessantacinquenni.
Detta disparità di trattamento assume valenza discriminatoria.
Se è vero infatti che, con particolare riferimento alle procedure di licenziamento collettivo, il Supremo Collegio ha chiarito che “è lecito il criterio concordato tra azienda e sindacati per il licenziamento collettivo basato sul possesso dei requisiti per andare in pensione. In primo luogo, infatti, non si ravvisa una discriminazione in base al fattore età, in quanto il criterio adottato non si fonda esclusivamente sul dato anagrafico, bensì sul possesso dei requisiti pensionistici: si possono avere casi di lavoratori più anziani di età che, in virtù di una particolare storia lavorativa, non presentano i suddetti requisiti. In secondo luogo, accertata la necessità di licenziamento di parte del personale, appare ragionevole la scelta di privilegiare i lavoratori che, se licenziati, sarebbero passati alla disoccupazione, rimanendo così privi di reddito, e di licenziare, invece, quelli che avevano i requisiti per accedere alla pensione, in modo da ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti” (Cass. Civ., Sez. Lav., 26 aprile 2011, n. 9348), argomentando a contrario non può dirsi lecita – in assenza peraltro di altri criteri selettivi, di carattere organizzativo – l’applicazione del criterio pensionistico ai soli lavoratori più anziani.
Come correttamente evidenziato dal giudice della fase sommaria, «a dispetto dell’ambito di applicazione del secondo criterio, utile a far ricomprendere nella procedura di licenziamento collettivo tutti i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso al trattamento di pensione a carico dell’INPGI (sia esso di anzianità ovvero di vecchiaia), il filtro del primo criterio è destinato a individuare in via diretta e primaria i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, e solo in via incidentale quelli in possesso dei requisiti per l’accesso al trattamento di pensione di anzianità. Di fatto, per come previsto nell’accordo del 2 aprile 2014, il criterio dell’età anagrafica è destinato a operare in via prevalentemente autonoma, atteso che il compimento del 65º anno di età determina” – per coloro che abbiano almeno 20 anni di contributi- “il diritto al conseguimento della pensione di vecchiaia. Per contro, a dispetto di quanto parrebbe sotteso al criterio di cui alla lettera b), il criterio di cui alla lettera a) fa salvi tutti i lavoratori che, nati dopo il 31 dicembre 1949, abbiano già maturato il diritto al conseguimento della pensione di anzianità”, pur se in ipotesi titolari di una anzianità contributiva ben superiore a venti anni, perché favoriti da un’anzianità anagrafica inferiore.
Come stigmatizzando dall’ordinanza, “L’effetto del criterio di cui alla lettera a) si prospetta, dunque, quale irragionevole e ingiustificata limitazione della platea dei potenziali destinatari del licenziamento collettivo atteso che – anche, e soprattutto, in considerazione dei presupposti dichiarati dall’azienda a sostegno della procedura de qua – non si ravvisa alcuna motivazione obiettiva atta a giustificare la salvaguardia di quanti, pur nati in epoca successiva al 31 dicembre 1949, abbiano comunque raggiunto i requisiti per il trattamento pensionistico di anzianità. Invero, se l’intento delle parti era effettivamente quello di “mitigare le conseguenze sul piano sociale”, sarebbe stato più coerente (e, comunque, oltremodo più ragionevole) ricomprendere coloro che, per aver raggiunto i requisiti utili alla pensione di anzianità, avrebbero potuto senz’altro beneficiare di un trattamento pensionistico più satisfattivo del trattamento pensionistico di vecchiaia”.
Correttamente, quindi, il giudice della fase sommaria ha ritenuto che l’applicazione dei due criteri indicati abbia avuto effetti discriminatori ai danni dei lavoratori ultrasessantacinquenni (come del resto comprovato dall’esame del LUL prodotto nella fase sommaria e della analisi sul punto effettuata dall’ordinanza oggi opposta).
Merita invece accoglimento l’opposizione proposta da R. B., la quale si duole del fatto che, nel determinare il “tallone retributivo” cui commisurare l’entità del risarcimento del danno ex art. 18 legge n. 300/1970, il Giudice della fase sommaria non abbia conteggiato i ratei di tredicesima e la indennità redazionale prevista dall’art. 16 CCNL giornalisti.
Secondo consolidato orientamento della suprema Corte, infatti, “In tema di risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo, l’indennità risarcitoria di cui all’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n.300 deve essere liquidata in riferimento alla retribuzione globale di fatto spettante al lavoratore al tempo del licenziamento, comprendendo nel relativo parametro di computo non soltanto la retribuzione base, ma anche ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (con esclusione, quindi, dei soli emolumenti eventuali, occasionali od eccezionali), in quanto altrimenti verrebbero ad essere addossate al lavoratore le conseguenze negative di un illecito altrui”, tra le quali quelle di un recesso illegittimo ante tempus intimato prima delle scadenze annuali per il pagamento della indennità redazionale –giugno- e della tredicesima – dicembre- altrimenti spettanti alla lavoratrice (cfr. Cass. Sez. L, 16/09/2009 n. 19956; Cass Sez. L, 17/02/2009 n. 3787; cfr. anche Cass. 28/08/2003 n. 12628: “L’indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma quarto, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come sostituito dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, deve essere commisurata alla retribuzione globale di fatto e
quindi in essa devono essere incluse tutte le voci stipendiali corrisposte al lavoratore subordinato, anche in via non continuativa (purché non occasionale), in dipendenza del rapporto di lavoro ed in correlazione ai contenuti e alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, rimanendo irrilevante che tali voci siano qualificate come non retributive dal contratto o anche da una previsione di legge”).
Per queste ragioni, l’ordinanza opposta va modificata nella sola parte in cui determina in euro 7.544,51, anziché in euro 8.656,83, la retribuzione globale di fatto mensile di R. B. cui commisurare il risarcimento liquidato nella medesima ordinanza, da confermarsi integralmente per il resto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
Definitivamente pronunciando,
in parziale e limitata riforma dell’ordinanza Tribunale di Milano sezione lavoro (est. Colosimo) n. 7692/2015 del 12.3.2015, determina in euro 8.656,83 lordi, la retribuzione globale di fatto mensile di R. B. cui commisurare il risarcimento liquidato nella medesima ordinanza, integralmente confermata nelle restanti statuizioni;
condanna Radiotelevisione Italiana s.p.a. a rifondere a R. B. le spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compenso professionale, oltre IVA, cpa e rimborso forfettario spese generali al 15%.
Sentenza esecutiva.
Milano, 21.9.2015
Il Giudice
Laura Bertoli