ROMA – “Le ladre intese” questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio per Il Fatto Quotidiano in edicola oggi, mercoledì 24 luglio 2013:
“I commenti alla condanna di Del Turco a 9 anni e mezzo per corruzione sono identici a quelli che avrebbero accolto una sua assoluzione. È sempre così, quando finiscono alla sbarra i politici e gli altri imputati eccellenti: è sempre complotto, accanimento giudiziario, teorema senza prove, persecuzione politica, nuovo caso Tortora. Essendo potenti, dunque innocenti a prescindere, le sentenze non contano. Se vengono assolti, è la prova che c’era un complotto. Se vengono condannati, è la prova che c’è un complotto.
Gli atti, le udienze, le prove, gli indizi, le testimonianze, le intercettazioni non contano nulla: tanto chi commenta i processi non li segue, non li conosce, non li studia. Al massimo capita che la stampa di destra giudichi colpevole qualche potente di sinistra per dovere d’ufficio, o viceversa. Ma di solito i processi ai potenti riguardano ruberie trasversali, di larghe intese: la destra ruba, il centro tiene il sacco e la sinistra fa il palo o, invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. (…)
(…) Era “il partito unico dei soldi”, come diceva uno degl’imputati intercettato. Intanto il buco della sanità si allargava, le cliniche private ingrassavano sullo sfascio degli ospedali e sugli accreditamenti regionali, e Pantalone pagava. Del Turco poi è una larga intesa ambulante: da buon ex socialista, è popolarissimo nel mondo berlusconiano e in quello pidino (specie nell’ex Pci migliorista, detto piglio-rista), entrambi infarciti di avanzi e vedovi inconsolabili del craxismo. Basta leggere i giornali, o assistere alle lacrimazioni dei tg Rai e Mediaset.
Il Giornale: “Del Turco condannato senza prove”. Il Foglio: “Di prove non se ne sono viste”. Libero: “La prova non c’è, la condanna sì” (firmato Maria Giovanna Maglie, che al processo non c’era, ma nell’entourage di Bottino sì). Corriere : “Del Turco, 9 anni e mezzo: ‘Io trattato come Tortora’”, “Quei buchi nell’inchiesta”. L’Unità: “La sentenza non ha spazzato via tutti i dubbi. Se possibile ne ha anche aggiunti altri… Se i soldi non ci sono, la condanna invece resta. E con questa i dubbi”, “Io come Tortora, condannato senza prove”. Per carità, le sentenze non sono vangelo, e questa è solo di primo grado. Ma per criticarle bisognerebbe almeno conoscere qualche carta, oltre al diritto e alla logica. Invece qui si dicono scemenze da Guinness. Si ignora che, a confermare le accuse del corruttore Angelini, ci sono le testimonianze convergenti della moglie, della segretaria e dell’autista. (…)
Nessuno scrive che un processo per corruzione in cui il corruttore (spacciandosi per concusso) confessa tutto, fotografa le mazzette dinanzi a testimoni, dimostra i viaggi per le consegne con i telepass autostradali, è il sogno di tutti i giudici. Nei processi di tangenti il bottino non si trova quasi mai (solo i deficienti lo nascondono nel materasso per farselo trovare). Se bastasse far sparire il corpo del reato e l’arma del delitto per essere assolti, non si riuscirebbe mai a condannare un killer mafioso per i casi di lupara bianca. Però si può sempre fare una riforma: chi brucia il cadavere o lo scioglie nell’acido e getta la pistola in mare aperto, è innocente.