ROMA – La mattina del 13 giugno è circolata la notizia che il ministero avesse proposto la franchigia in base al reddito e la rimodulazione dei ticket sanitari da 10 a 200 euro per i ricoveri. L’obiettivo del ministero della Salute è risparmiare 5 miliardi di euro tra il 2012 ed il 2014. Inizialmente il ministro Balduzzi, a margine della presentazione del Rapporto Ceis Tor Vergata, ha dichiarato: “La franchigia è un’ipotesi allo studio che stiamo approfondendo, sicuramente anche nell’incontro di questa mattina emergeranno ulteriori ragioni per poi presentare una proposta completa”. Dopo poche ore lo stesso ministro smentisce: “Le ipotesi circolate in queste ore circa la riforma dei ticket sono destituite da ogni fondamento operativo”.
La nota del ministero spiega: “Sono ipotesi che gli Uffici tecnici del Ministero avevano formulato prima del giuramento dell’attuale Governo e che il Ministro ha rifiutato di prendere in considerazione fin dall’inizio del suo mandato”. Il Ministero della Salute fa rilevare ”che è perfettamente inutile ogni speculazione politica”.
Il timore generale ora è che una riforma dei ticket possa impoverire ancor di più le famiglie e gli anziani, come spiega la Spi-Cgil. Il rischio è infatti di aumentare il divario tra sanità pubblica e privata. Altro timore, espresso però dal Censis, è che 10 milioni di cittadini fuggano dalle regioni dove il conto della sanità è in rosso per farsi curare altrove. Intanto oltre 1 milione di cittadini sceglie di risparmiare acquistando prestazioni sanitarie sul web.
LE IPOTESI SMENTITE – La prima riguardava l’introduzione di una franchigia in base al reddito, con percentuale tra il 7 e il 9 per mille. La seconda l’introduzione di sei scaglioni di reddito con ticket modulati per tutti. In day hospital si potrebbe andare da 10 a 180 euro di ticket in base a sei scaglioni di reddito, mentre per i ricoveri ordinari si partirebbe, sempre secondo le ipotesi allo studio sulle quali si è svolta una riunione al ministero della Salute, dal minimo di 10 euro per arrivare fino a 200 euro.
La prima proposta è quella in sostanza avanzata dall’Agenas, anche se la prima simulazione dell’Agenzia guardava a una percentuale in base al reddito del 3 per mille. La seconda ipotesi, potrebbe prevedere sei scaglioni di reddito (6.000-12.000-18.000-30.000-40.000 e over 40.000) dei quali solo il primo potrebbe essere del tutto esente, ma già dal secondo si potrebbe iniziare a pagare, ad esempio, uno o due euro sui farmaci.
FAMIGLIE PIU’ POVERE – I ticket impoveriscono ulteriormente gli anziani e i pensionati di questo paese e ”rappresentano a tutti gli effetti una vera e propria tassa sulla salute”: lo afferma il segretario generale dello Spi-Cgil Carla Cantone a proposito dell’ipotesi di una riforma dei ticket secondo la quale si potrebbero avere cinque miliardi di risparmi.
”Cosi’ – prosegue – non si salva la sanita’ pubblica ma si finisce solo per favorire lo sviluppo di quella privata, alimentando le gia’ forti disuguaglianze sociali perche’ vi accede solo chi e’ ricco e chi puo’ permetterselo. L’aumento dei costi sanitari per le famiglie – conclude il leader dello Spi-Cgil – porta ad un costante peggioramento delle condizioni di vita ed economiche delle famiglie e degli anziani, ritardando di conseguenza la ripresa dalla crisi e frenando ulteriormente i consumi, anche dei beni di primi necessita”’.
FUGA DALLE REGIONI IN ROSSO – Esiste un rischio fuga per 10 milioni di cittadini delle regioni con piano di rientro pronti a farsi curare altrove. Vola la spesa delle famiglie a causa dei ticket: +18% in un anno. Lo dice una ricerca del Censis contenuta nel Rapporto 2012 ‘Il Sistema Sanitario in controluce’. Il 18% dei cittadini di queste regioni si è già rivolto a un medico, a una struttura o a un servizio sanitario di un’altra regione o si è recato all’estero per curarsi, rispetto al 10,3% rilevato nelle altre regioni.
Nelle regioni con piano di rientro sono di piu’ i cittadini che pensano che la sanita’ regionale peggiorera’ nei prossimi cinque anni (il 37,6% rispetto al 29,5% rilevato nelle altre regioni), che hanno fatto ricorso alla sanita’ privata (il 39% contro il 37%), che hanno sostenuto aumenti della spesa di tasca propria per la sanita’ (il 61,8% contro il 54,9%) e che hanno subito un incremento medio maggiore della spesa privata per famiglia (+20% contro il +16%).
In queste regioni i cittadini che non si farebbero curare in nessun caso fuori dalla propria regione sono il 29% rispetto al 46% rilevato nelle altre regioni. Per il 77% degli italiani si poteva tagliare altrove. Il 71% pensa che le manovre accentueranno le differenze di copertura sanitaria tra le diverse regioni e tra i ceti sociali, aumentando le disparita’ nella tutela della salute. Il 66% ritiene che non riporteranno la spesa sotto controllo. Per il 62% in questo modo si tagliano i servizi e si riduce la qualita’. Il 51% e’ convinto che negli ultimi due anni la copertura pubblica si sia gia’ ridotta, perche’ sono aumentate le prestazioni che vanno pagate, il 44% ritiene che la copertura sia rimasta inalterata e solo il 5% che si e’ ampliata. Per il 58% degli italiani la spesa per la sanita’ (visite mediche, dentista, analisi e accertamenti diagnostici) e’ aumentata del 18% in un anno.
L’aumento e’ dovuto soprattutto ai ticket: per i farmaci (per il 65% dei cittadini), le visite mediche specialistiche (64%), analisi e radiografie (63%). Tra intramoenia e sanita’ privata, come vola la spesa di tasca propria. Il 38% dei cittadini ha fatto ricorso nell’ultimo anno alla sanita’ privata per almeno una prestazione. In particolare sono donne (42%), adulti con 45-64 anni (42,5%) e anziani (40%), residenti nel Nord-Ovest (42%) e nei comuni tra 10mila e 30mila abitanti (42%), laureati (42%). Il 55% giudica pero’ troppo alto il prezzo pagato per la prestazione, il 44% lo valuta giusto e appena l’1% lo ritiene basso. E il 10% dei cittadini ha fatto ricorso all’intramoenia nell’ultimo anno. In particolare sono donne (11,5%), 45-64enni (12%), residenti al Centro (13%) e nei comuni tra 100mila e 250mila abitanti (15%), laureati (15%). In questo caso pensa di aver pagato un prezzo troppo alto il 49%, giusto il 48%, basso il 3%.
CURE SUL WEB – Un milione di italiani ha acquistato prestazioni sanitarie su Internet: 600mila persone lo hanno fatto una sola volta, 280mila tra due e quattro volte, 120mila più di cinque volte. Sono alcuni fra i principali risultati del contributo del Censis al Rapporto 2012 ”Il Sistema Sanitario in controluce” della Fondazione Farmafactoring. Il 74% lo ha fatto perché è un’operazione semplice e veloce, il 26% perché i prezzi sono vantaggiosi e conviene, il 59% per acquistare prestazioni di odontoiatria (pulizia o sbiancatura dei denti, apparecchi ortodontici), il 36% servizi legati alla prevenzione (analisi del sangue e delle urine, mammografia, mappatura dei nei), il 23% visite con un nutrizionista (test delle intolleranze alimentari, diete personalizzate), il 9% interventi di chirurgia estetica.
LE REAZIONI – ”Credo che non possiamo essere disponibili a nessuna strada impositiva” che ”sarebbe gravissima in questo momento”. Cosi’ Antonio Tomassini (Pdl), presidente della commissione Sanita’ del Senato, commenta le ipotesi di riforma dei ticket illustrate in una riunione al ministero. ”Nessuno puo’ negare che si debbano recuperare 5 miliardi” ma ”dobbiamo essere sufficientemente lungimiranti da pensare a percorsi alternativi rispetto a interventi rozzi da chirurgia di guerra improponibili in questo momento”.
L’ipotesi di riforma dei ticket con sei scaglioni di reddito ”confligge con l’articolo 32 della Costituzione che garantisce l’accesso alle cure gratuite per gli indigenti”. Cosi’ il presidente della commissione d’inchiesta sul Ssn, Ignazio Marino, sottolineando di essere rimasto ”sbigottito” dalla proposta. ”In sostanza, visto che non si e’ capaci di rendere efficiente il sistema si aumentano le tasse”, aggiunge, ”umiliando, con una manovra di questo tipo, tutti gli sforzi di chi vuole razionalizzare la spesa”.