ROMA – Per la prima volta in 27 anni la definizione del morbo di Alzheimer sta per essere riscritta. La novità è contenuta nelle ultime linee guida della medicina che descrivono l’emergere di impatti devastanti sul cervello anni prima dei sintomi della demenza senile.
La scoperta è annunciata dal New York Times. Le nuove linee guida, scrive il quotidiano statunitense, verranno rese note dall’Istituto Nazionale americano sull’Invecchiamento e dall’Associazione dell’Alzheimer.
In base alle nuove scoperte la progressione del morbo viene suddivisa in tre stadi: una prima fase in cui si sviluppa la demenza, una fase di mezzo in cui emergono disturbi moderati, e la fase scoperta più di recente, quella in cui non ci sono sintomi evidenti ma le progressione della malattia si concentra nel cervello.
Le scoperte più importanti riguardano i metodi che valutano i mutamenti del cervello implicati nell’Alzheimer, tra cui le analisi del cervello ed esami sul liquido del midollo spinale. Questi test misurano i cosiddetti “biomarcatori“, indicatori fisiologici che segnalano che qualcuno è predisposto alla demenza, come il colesterolo alto o la pressione sanguigna sono biomarcatori della propensione agli attacchi cardiaci.
Al momento le nuove linee guida specificano che i biomarcatori dell’Alzheimer – tra cui livelli anormali delle proteine amiloidi e tau, e la riduzione di certe aree cerebrali – non dovrebbero ancora essere seguite nell’uso comune, ma usate solo con pazienti che sono inseriti nelle sperimentazioni cliniche.
Questo perché gli scienziati non possono ancora standardizzare i risultati dei test, o conoscere “quale livello sia realmente anormale e quale no”, ha detto al New York Times Marilyn Albert, direttore del Johns Hopkins Alzheimer’s Disease Research Center, e uno dei numeri uno del gruppo di lavoro che ha sviluppato le nuove linee guida.
Le nuove definizioni invitano alla cautela anche perché al momento non sono ancora noti medicinali che fermino o ritardino significativamente la comparsa dei sintomi, e quindi le persone predisposte all’Alzheimer non hanno effettive cure a disposizione.
“Al momento non abbiamo sufficienti informazioni per dire alla gente cosa fare”, ha spiegato il dottor Steven DeKosky, preside della facoltà di Medicina dell’Università della Virginia, che ha partecipato ad uno dei gruppi di ricerca. “Finché non puoi dire ad un medico: ‘Se fai questo test avrai un margine X di sicurezza e potrai fare la differenza nella vita del tuo paziente’, be’, appunto fino a quel momento tutto resta nell’ambito del laboratorio”.
Le nuove linee guida riflettono però riflettono la sensazione nella comunità medica che il momento in cui la scienza avrà conoscenze più specifiche sui biomarcatori non è lontano. E questi incoraggeranno maggiori ricerche che permettano di sviluppare medicine che attacchino le mutazioni nel cervello.
Con le nuove scoperte americane, inoltre, sarà più facile distinguere quelli che sono i sintomi dell’Alzheimer dai sintomi di altre forme di demenza. Ma soprattutto il primo sintomo dell’Alzheimer non sarà più la perdita di memoria, ma i cambi d’umore e i disturbi del linguaggio o nella percezione visiva e nel ragionamento.
