Famiglia Cristiana sceglie parole durissime per criticare la nomina di Aldo Brancher al ministero per il Decentramento. “Siamo arrivati al colmo della nomina di un ‘ministro del nulla’, in funzione dell’ennesima legge ‘ad personam’ per sottrarre i politici alla Giustizia – scrive il settimanale cattolico – mentre si tradisce la Costituzione sui temi della legge uguale per tutti, della libertà di stampa e dei fini sociali in tema di economia di mercato”.
Nel numero in edicola questa settimanail direttore Beppe Del Colle nel suo editoriale aggiunge: ”Al Parlamento non si chiede di discutere, ma solo di approvare le decisioni del Governo, la maggioranza è divisa su tutto, tranne che sull’ossequio devoto (almeno a parole) al capo del Governo”.
Nell’editoriale dal titolo ”La brutta parabola del ministro Brancher”, il diffuso settimanale cattolico ricorda un suo vecchio numero speciale dedicato nel 1988 ai 40 anni della Costituzione. ”C’era tutto – scrive – i meritati elogi, come le doverose critiche a punti particolari, di cui si suggerivano le giuste correzioni, 40 anni dopo; non c’erano condanne di nessun genere a questa o quella istituzione dello Stato. Anzi, il massimo rispetto per il loro reciproco equilibrio”.
Aggiunge poi che ”non c’era traccia di federalismo – tanto meno di secessione – nemmeno nelle parole di Gianfranco Miglio, ispiratore della Lega”. ”Il consenso generale – si legge ancora nell’articolo – andava alla tesi esposta dallo storico cattolico Pietro Scoppola, che lamentava il predominio corruttore dei partiti storici (destinati tutti a sparire in pochi anni)”.
Quindi la denuncia dei recenti avvenimenti politici: ”I confronti con l’oggi sono inutili: siamo arrivati al colmo della nomina di un ‘ministro del nulla’, in funzione dell’ennesima legge ‘ad personam’ per sottrarre i politici alla Giustizia, mentre si tradisce la Costituzione sui temi della legge uguale per tutti, della liberta’ di stampa e dei fini sociali in tema di economia di mercato”.
Per il settimanale dei Paolini, ”al Parlamento non si chiede di discutere, ma solo di approvare le decisioni del Governo; la maggioranza è divisa su tutto, tranne che sull’ossequio devoto (almeno a parole) al capo del Governo”.
”Grande chiave di volta del potere, il consenso elettorale – conclude l’editoriale, non senza tracciare un indiretto parallelo col periodo fascista -. Ma Benedetto Croce già nel 1927 (attenti alla data) annotava nella ‘Storia d’Italia dal 1871 al 1915’ una critica decisiva al concetto di ‘sovranità del popolo, il quale delega allo Stato, che di per se’ non ha alcun diritto, certi diritti a certi fini, e, se eccede in cotesta delegazione, non è degno di libertà”. Come si è visto, dalle elezioni dal 1924 al 1943”.