Questa iniquità di trattamento non è l’unica a svantaggio dei percettori di redditi da locazioni. Ancor più rilevante è quella conseguente al fatto che le cedole sui titoli producono interessi “netti” (imposta del 12,5 a parte): per riscuoterle non occorre sopportare spese di alcun genere, mentre invece un affitto è un reddito molto ma molto lordo, gravato da oneri di manutenzione straordinaria, Ici seconda casa, eventuali spese legali e quant’altro. Nel concreto, inoltre, sarà certamente abbastanza raro il caso di un soggetto con reddito assai basso in grado di mettere sul mercato delle locazioni una o più abitazioni libere. Ciò significa che il piagnisteo sull’iniquità della cedolare secca a favore dei redditi più alti non ha ragione d’essere (tanto più che per i più bassi non vi sarebbe alcuna modifica rispetto alla situazione attuale) perché sono proprio i detentori delle fasce alte di reddito a disporre di larghissima parte degli immobili da affittare. Inoltre i locatori mettono a disposizione del paese beni almeno altrettanto socialmente utili di quanto non facciano gli investitori in titoli. Aggiungiamo che una tassazione penalizzante sui redditi da locazione, come l’attuale che arriva a sfiorare il 40 per cento dell’affitto lordo, tende a rarefare l’offerta di case in affitto, un bene scarso.
Ci dovremmo fra l’altro chiedere se al di sotto del fenomeno tutto italiano dell’enorme diffusione della casa in proprietà (72 per cento delle abitazioni, a cui si debbono aggiungere quelle in usufrutto, comodato d’uso, ecc.) vi siano solo aspetti positivi, come la risparmiosità dei nostri connazionali e l’attaccamento alle loro radici, e non anche risvolti negativi. Fra questi ultimi, basti citare gli ostacoli spesso insormontabili a reperire abitazioni in locazione a prezzi ragionevoli; le difficoltà che una proprietà immobiliare molto diffusa e assai poco fungibile pone alla mobilità (in concorso con la forte tassazione sui passaggi di proprietà) e/o a investimenti imprenditoriali in altri settori. Di recente la commissione Ambiente della Camera, nel rapporto conclusivo di un’indagine conoscitiva, ha affermato che la “struttura rigida dei mercati immobiliari, sbilanciati verso la proprietà, determina serie difficoltà a dare risposta ai diversi fabbisogni della domanda abitativa in locazione, da quello delle giovani coppie a quelli di chi deve spostarsi per lavoro, da quelli degli studenti fuori sede, delle persone anziane e dei single a quelli degli immigrati regolari”. Come volevasi dimostrare.
Infine è sommamente sciocco far finta che l’attuale sistema d’imposizione fiscale sugli affitti non sia un potente stimolo all’evasione totale o parziale: è notorio che i “fitti in nero” sono assai comuni e comportano, oltre che iniquità fra chi paga le imposte e chi no, ingenti perdite per l’Erario. Sostiene sempre la commissione Ambiente che vi è ormai un’“inaccettabile quota di affitti ‘in nero’, che ormai supera le 500 mila abitazioni”. Anche per questo una riduzione dell’aliquota certamente non si tradurrebbe in una proporzionale contrazione delle entrate Secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, le perdite di entrate Irpef dovute all’introduzione della nuova imposta sarebbero più che pienamente compensate dal gettito di quest’ultima. L’emersione di affitti in nero e le sanzioni previste per gli evasori comporterebbero nuove entrate per 600 milioni nel primo anno di applicazione della cedolare, un miliardo nel secondo e 1,4 miliardi nel terzo. Benché siano state sollevate alcune perplessità sull’effettiva dimensione dei maggiori introiti, che la Ragioneria avrebbe sovrastimato, è certo che la nuova cedolare favorirebbe sicuramente un’aumento dell’offerta di affitti regolari e una diminuzione dei canoni: e anche questi non sembrano risultati di poco conto in un paese, come ricorda la commissione Ambiente, dove la situazione delle locazioni “appare particolarmente difficile, se è vero che la quota di case in affitto in Italia (attualmente 4,4 milioni, il 18,8 per cento delle abitazioni totali) è nettamente inferiore rispetto agli altri paesi europei (Germania 57,3 per cento, Olanda 47,3, Francia 40,7) e, soprattutto che l’offerta di edilizia sociale in Italia è nettamente inferiore a quella degli altri paesi europei (4,5 per cento del totale, undicesima in Europa)”.