Vittori Sgarbi è senz’altro un uomo di cultura e quando ha qualificato Marco Travaglio di « pezzo di merda tutto intero », aveva senz’altro in mente una fitta rete di riferimenti culturali. Tanto è vero che quando la querela di Travaglio è arrivata, Sgarbi non si è fatto cogliere impreparato. Subito, si è sforzato di mostrare ai giudici, prove alla mano, l’infondatezza del risentimento del Travaglio. Non c’è riuscito, e si è beccato 35 mila euro di danni da pagare a Travaglio, perché il giudice Roberta Dotta, pur riconoscendo come la parola “merda” possa avere anche dei significati positivi, Sgarbi l’ha usata “per esprimere sprezzo e spregio e in tale ultimo senso viene percepita”. Soprattutto, ha inchiodato Sgarbi questa frase: “Mi correggo. Travaglio non è un pezzo di merda. E’ una merda tutta intera”, che “reitera un’espressione già ritenuta illecita e già sanzionata”, con altra condanna, un anno fa, a 30 mila euro.
Ma se lasciamo da parte il tema intrinseco del contendere fra i due personaggi della tv e cerchiamo un filone, diciamo così, più culturale della vicenda, si deve partire dal pensiero che i legali dell’iracondo critico d’arte hanno messo su carta bollata: “La merda è cosa buona”. Avvalendosi senza citarlo del ben principio teologico agostiniano, gli avvocati hanno avuto buon gioco a dimostrare che tutta la natura è per essenza buona. Compresa la merda.
La difesa del critico è stata accolta, anche su grandi giornali, con una certa ironia. Malgrado Sgarbi non abbia bisogno di difese, e magari sia spesso indifendibile, da un punto di vista storico e letterario, non si può far altro che concordare con la fondatezza della linea difensiva, pur in apparenza audace.
Tutti i più grandi artisti e pensatori sono su questo punto concordi: senza scomodare citazioni evangeliche (qualifica l’uomo quello che esce dalla sua bocca, non quello che vi entra, perché finisce nella latrina) non vi è nulla di turpe nella “materia più vile” e come diceva Antonin Artaud, grande poeta francese dell’inizio del secolo, « dove si sente la merda, là c’è l’uomo », versione moderna del noto motto di Terenzio « homo sum: humani nihil a me alienum puto ».
Ma la merda può perfino, a volte, essere più che umana, sovrumana. Diverse cosmogonie eschimesi raccontano come il mondo terrestre non sia altro che il prodotto di una defecazione delle divinità. In Tibet gli escrementi dei Lama, le autorità spirituali del buddhismo tibetano, erano, fino a non molto tempo fa, tenute nella più alta considerazione e potevano essere adoperate come pillole medicali, grazie alle loro proprietà miracolose. Da questo punto di vista, l’epiteto lanciato da Sgarbi sarebbe più un elogio, che un improperio.
La rivalutazione degli escrementi è al centro anche di quella rivoluzione culturale che è stato il Rinascimento. Nel geniale romanzo di Rabelais, il gigante fanciullo Gargantua inventa un “pulisci-culo”. Tentativo dopo tentativo, il mostruoso bambino sperimenta quali siano gli oggetti più adatti alla bisogna. Dopo molteplici prove con vestiti, gioielli, verdure, animali, la conclusione del gigante rinascimentale è che: « non esiste un pulisci-culo come un uccello ben piumato, a condizione che gli si tenga la testa tra le gambe ». Non tutti saranno sensibili alla portata storica di questo passo letterario, ma si trovano in questo pulisci-culo i prodromi del metodo sperimentale che segnerà la svolta scientifica europea.
Nella merda, infine, si trova il germe del principio egualitario. Non diceva forse Montaigne, per illustrare l’uguaglianza degli uomini, « E i re e i filosofi cacano, e anche le dame »?
(Francesco Montorsi)
