Se la notizia si diffonderà, alle agenzie di comunicazione politica e agli spin doctor, quei consiglieri che pianificano le strategie dei candidati alle elezioni cercando di attrarre più voti possibili, presto resterà ben poco lavoro da fare. Le simpatie politiche di una persona sarebbero determinate da un gene. A dirlo è uno studio pubblicato sull’americano Journal of Politics, autori alcuni ricercatori dell’Università di san Diego e addirittura della prestigiosa Harvard.
Il pezzettino di Dna responsabile si chiama DRD4, una vera e propria superstar della genetica: negli anni è stato legato, tra l’altro, a numerosi disturbi della personalità, tra cui la schizofrenia e la sindrome bipolare. E poi al morbo di Parkinson, ad anoressia e bulimia, e persino alla dipendenza da sesso. Ma ormai per i media è diventato “il gene dei progressisti”. Secondo James Fowler, capo del gruppo di ricerca, è infatti una variante di questo gene a determinare quell’orientamento politico definito dagli statunitensi liberal, che oltreoceano vuol dire decisamente di sinistra.
Il meccanismo che lega DRD4 (sigla che sta per l’appena meno oscura espressione Recettore della Dopamina D4) ad un atteggiamento mentale aperto (e dunque ad un probabile voto riformista) passa però anche per un altro dato: il numero delle amicizie. I ragazzi più progressisti (tutti portatori di quella specifica variante del gene) sono, secondo Fowler e colleghi, anche quelli con più amicizie, che partecipano a più discussioni e sono esposti a visioni del mondo più varie. Tutto verificato, neanche a dirlo, sul social network Facebook, prendendo un campione di 2000 adolescenti. Insomma il gene darebbe una mano alle sinistre del mondo intero, ma senza fare tutto da solo: meno vita sociale significa un progressismo meno marcato, secondo i ricercatori americani.
In ogni caso la scoperta, la prima che lega esplicitamente un singolo pezzo di Dna all’ideologia, ridimensiona radicalmente il ruolo dell’ambiente sociale nel determinare queste tendenze. E non avrebbero nessuna influenza neanche fattori (in passato chiamati in causa e studiati persino dai politologi) come cultura, etnia, sesso ed età. Chissà come la prenderà Obama, nello scoprire che per muovere la folla di suoi elettori le strategie mirate su questi parametri hanno contato meno del numero di amici che i votanti avevano al liceo, e di un minuscolo tratto di cromosoma che era lì da sempre.
