Prima, nelle ore del dopo delitto, i responsabili erano stati individuati in una banda di immigrati, probabilmente albanesi che aveva assaltato la villa De Nardo per fare una rapina. E questa soluzione poliziesca, molto provvisoria, nella quale gli inquirenti credettero per poche ore, aveva scatenato una reazione della popolazione durissima. Erano gli anni della Lega scatenata sul tema della sicurezza, sul niet agli immigrati, con Forza Italia allineata è coperta. “Assaltarono il consiglio comunale – racconta Lovelli – ci assediarono, mi accusarono di essere personalmente responsabile, perchè avevo agevolato l’immigrazione con i servizi di prossimità. Strumentalizzarono ignobilmente perchè eravamo quasi in campagna elettorale e volevano cavalcare l’insicurezza sociale…”.
Ma quando, quaranta ore dopo il bagno di sangue, la verità emerse con le microspie che carpirono il terribile dialogo tra i due fidanzatini lasciati apposta in una stanza a parlarsi, le cose cambiarono. L’assedio alle autorità civiche, a quel sindaco che avrebbe governato la città per dieci anni, fu tolto, ma esplose un’altra emergenza, che in qualche modo dura ancora. “Improvvisamente – racconta Lovelli – si sono accesi sulla città i riflettori di tutti i mass media nazionali e internazionali, perchè un fatto come quello non si era mai visto e sentito e Novi venne indissolubilmente legata a quella tragedia. Novi uguale Erika. Ho lottato anni per rompere quel cerchio e ora il decimo anniversario non gioca certo a favore di questa lotta. Ci fu un dibattito, qualche giorno dopo l’arresto dei due ragazzi, al teatro Ilva con tutte le televisioni nazionali presenti e così siamo diventati la capitale del disagio giovanile.”
Lovelli è un politico della razza forte ex Pci, in una città dove non è mai passata la Lega e dove il riformismo socialista se lo sono inventati quando il crack industriale degli anni Novanta stava mettendo in mutande la classe operaia delle grandi fabbriche basso piemontesi. Ha governato, quindi, l’uscita da un modello sociale economico che sembrava di ferro, nel cuore del Nor Ovest opulento e civile, ma questa storia di Erika e Omar, anche dieci anni dopo, è quella che gli fa tremare di più la voce, ben più della piazza piena di operai in rivolta per i tagli all’Ilva dell’acciaio “Non posso dimenticare il giorno in cui entrai in quella casa piena di sangue, insieme ai carabinieri e vidi quello scempio, non posso dimenticare il padre, dignitoso in un dolore muto, non posso dimenticare la faccia di Erika, chiusa, apatica, distante, prima che scoprissero la verità.” Nessuno può dimenticare, ma la città intorno, dieci anni dopo, in questo inverno di acqua, neve, grigio silenzioso, sembra voltarsi dall’altra parte. Vuole rimuovere, meglio voltarsi verso l’Outlet con il parcheggio che rigurgita di auto posteggiate ad ogni ora, in ogni giorno. Erika e Omar, opera del Diavolo.
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