Sta finendo la seconda estate dopo il terremoto che ha distrutto L’Aquila e i tanti paesi limitrofi. Da quel maledetto 6 aprile è passato quasi un anno e mezzo, un periodo in cui la ricostruzione, dopo i primi interventi per tamponare l’emergenza, avrebbe dovuto essere già avviata. E un altro inverno è alle porte.
Il giornalista dell’Espresso Maurizio Gatti, temutissimo dalla cricca del G8, ha deciso di tornare proprio nel capoluogo abruzzese per capire com’è la situazione, e il suo lungo reportage, consultabile anche nella versione online del settimanale, è un atto d’accusa contro immobilismo e ritardi. Di miracoli non v’è traccia e la parola transizione evoca i tristi ricordi del Belice, dove non è mai finita, o l’Irpinia cannibalizzata dalla Camorra. Gli esempi virtuosi del Friuli, o i più recenti di Umbria e Marche, sono lontani anni luce: ma lì si procedette a una ricostruzione quasi immediata.
A L’Aquila sono tornate le bollette e i mutui da pagare, ma non sono tornate le case, almeno non quelle nel centro dove, racconta il giornalista, tutto sembra fermo e abbandonato. Raccoglie testimonianze, Gatti, come quella di Nello Cozzolino, uno che prima del 6 aprile aveva un ristorante specializzato in piatti allo zafferano e ora fa il cuoco di un self service in una stazione di benzina. “”Il problema – racconta Cozzolino – non è solo la ricostruzione che non parte. Il problema di tutti i giorni sono le bollette, le rate che devi pagare per cose che non possiediamo più, in base a un reddito che non abbiamo più”.
Il cuoco spiega: “Dicono che con il terremoto le banche avrebbero sospeso i mutui. Non è vero: io avevo rate di 800 euro al mese. Hanno sospeso la restituzione del capitale. Ma preteso gli interessi, 170 euro al mese, che ho continuato a pagare anche quando vivevamo in tenda. E da novembre ricomincio con il capitale”. Non finisce qui. Oltre al dolore ci sono le beffe, come quella “dell’abbonamento a Sky. Sembra impossibile disdire il contratto e per due volte mi hanno chiesto gli arretrati. Da settembre a maggio mi sono poi arrivate sette bollette della luce con cui mi si chiedeva per ogni bolletta di pagare 720 euro, calcolati in base ai consumi precedenti del ristorante. Non c’era verso di fargliela capire che la corrente era stata staccata la mattina del 6 aprile. Alla fine ho detto: venite a piombare il contatore così vedete cosa mi è successo. Il guaio è che se non risolvi la questione non puoi aprire nuovi contratti. Alla fine mi hanno scontato sette bollette di conguaglio con segno meno”.
La questione è che 17 mesi dopo, in un modo o nell’altro, chi poteva è ripartito. Con grande fretta ha ricominciato Telecom. A fare cosa? Ad assegnare le utenze telefoniche sospese dopo il terremoto. Non a chi le aveva prima, ma a chi ne faceva richiesta. Risultato? Casa tua non esiste più, in un momento di nostalgia fai il tuo vecchio numero aspettando di trovarlo muto e invece ti risponde uno sconosciuto. Così Cozzolino a Gatti: “”È successo a molti. Anche a un nostro cugino. Voleva trasferire il suo numero di telefono nella casa provvisoria dove è stata trasferita la sua famiglia. Alla Telecom gli hanno detto che non era possibile perché quel numero non è più disponibile. L’hanno assegnato ad altri abbonati”.
Intanto, denunciano gli abitanti, i Map (moduli abitativi provvisori) fiore all’occhiello della ricostruzione lampo diretta da Bertolaso mostrano le prime crepe. Il giornalista dell’Espresso è impietoso: “I Map sono costati come chalet di montagna. A Sant’Eusanio Forconese hanno un soffitto alto, travi robuste. Ma quelli consegnati la scorsa primavera stanno perdendo l’intonaco. Oppure gli strati di isolante si sfogliano come pelle scottata. Le casette di Castelnuovo e Poggio Picenze, costruite per ultime e assegnate quattro mesi fa, sono già fragili. Il rischio è che perdano presto il nome avveniristico di Map inventato dalla Protezione civile e diventino semplicemente baracche”. “E queste non hanno ancora affrontato il primo inverno” aggiunge Stefania Pace, 42 anni, impiegata alle Poste, che vive in un modulo provvisorio a Poggio Picenze con il marito e due figli.
Le telecamere, insomma, sono andate via dall’Aquila, come se tutto fosse risolto e il terremoto fosse un ricordo vecchio e sbiadito. La verità, invece, sembra essere che la città non è ancora tornata. E non sembra neppure vicino ad esserlo.