Una vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera raffigura un Marcello Lippi con valigie che dice: “Ora voglio fare il ministro” e “non voglio processi”. Ai più la voglia di “legittimo impedimento” ricorderà il caso Brancher, o Berlusconi. A noi il personaggio-Lippi ricorda un altro arrogante di (in)successo: Guido Bertolaso.
Entrambi con un fare sbrigativo, vestiario sciatto da “uomini del fare”, e con grosse aperture di credito da parte della stampa. Forse perché si sono saputi vendere come “salvatori della patria” (Lippi perché ha vinto un mondiale, Bertolaso perché, come è noto, ha fermato terremoti e alluvioni). E proprio in virtù di questo, le loro “missioni” si sono sempre svolte sotto il segno del “non disturbate il manovratore”.
Dell’ex commissario tecnico della Nazionale il ricordo è fresco: nelle conferenze stampa del 2010, anno in cui non ha vinto neanche una partita, nessuno, fra i peraltro compiacenti cronisti sportivi, poteva fargli una domanda un minimo scomoda senza venire subito zittito o mandato a quel paese. L’allenatore di Viareggio ha fatto le sue scelte pretendendo e ottenendo titoli benevoli sui giornali. Insulti e critiche dei tanti italiani che non lo possono vedere sono rimasti confinati al bar. Per poi riaffiorare su tv e carta stampata non appena il mondiale azzurro è stato certificato cadavere.
Stessa cosa SuperGuido. Guai a quei pochi giornalisti che si sono avventurati a far sapere che la ricostruzione in Abruzzo non era poi quel portento organizzativo che Berlusconi & Bertolaso vendevano ai media. Si veniva bollati come “nemici dell’Italia”, esattamente come è successo a chi in questi mesi si fosse azzardato a criticare la Nazionale. Ma se l’Italia è naufragata ignominiosamente con la Slovacchia, anche i “miracoli” della Protezione Civile vengono smentiti dalle cronache di questi giorni.
Oggi un’inchiesta dell’Espresso ci mostra come all’isola della Maddalena oltre al disastro del mancato G8 abbiano dovuto sopportare anche il disastro della mancata bonifica della zona inquinata dalle “cartucce” della base militare Usa. Ma anche gli aquilani, che il G8 se lo sono visti portare in casa, dopo un anno non ce la fanno più a sopportare una città in macerie, le case che mancano e l’immagine di un “happy ending” che profuma di balla e che copre sui principali media le proteste dei terremotati.
