Partiamo dai fatti più recenti. Con l’arrivo delle ultime new entries Sergio Virtù, Angelo Cassani detto «Ciletto», Libero Angelico detto «Ruffetto» e Gianfranco Cerboni detto «Giggetto», che hanno preso il posto degli “imputati” precedenti, è più o meno la centesima volta che squillano le trombe per annunciare trionfalmente che il caso Orlandi è risolto. Trionfalismi fuori luogo. Voler per forza insistere a sostenere che Emanuela è stata “rapita” è facile quando le accuse sono a carico di chi non può difendersi perché passato da tempo a miglior vita, come Enrico “Renatino” De Pedis. Non è mai esistito un sequestro di persona i cui autori non siano mai stati in grado di fornire neppure uno straccio di prova di avere nelle loro mani la persona sequestrata. E sì che proprio a Roma Laudavino De Sanctis, detto Lallo Lo Zoppo, prima dell’83 aveva rapito a scopo di estorsione il re del caffè Giovanni Palombini, ucciso subito, e ne teneva in freezer il cadavere per fotografarlo con un quotidiano recente e fingere così con i suoi che fosse ancora vivo per convincerli a pagare il riscatto. Nel caso di Emanuela, neppure l’ombra di una foto, solo ed esclusivamente la fotocopia – non l’originale, si noti bene, ma solo la fotocopia – dela sua tessera di iscrizione al conservatorio musicale Ludovico da Victoria, proprietà del Vaticano, fotocopia che era facile da procurare per chi aveva accesso alla segreteria della scuola di musica: qualunque ufficio rilasci un documento di identità o di riconoscimento, dal passaporto al libretto di iscrizione all’Università, conserva infatti almeno una fotocopia dell’originale. Ecco perché affermo senza tema di smentita che la scomparsa della giovanissima Orlandi non può essere catalogata tra i sequestri, tanto meno a scopo di estorsione. Ma i motivi che mi spingono a fare questa affermazione sono anche altri. Molti altri.
L’unica cosa certa dopo oltre un quarto di secolo di ipotesi più o meno azzardate e campate in aria è che il Vaticano resta al centro della scena e dei sospetti, che aumentano anche alla luce proprio delle recenti strane “testimonianze” e trovano piena conferma l’impianto e le affermazioni del mio libro “Emanuela Orlandi – La Verità. Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana”, dove a pagina 182 elenco appunto tutte le prove e gli indizi, in totale ben 17, che non si è trattato di una rapimento e che il Vaticano sa, ma nasconde e mente. L’elenco dei depistaggi e delle bugie d’Oltretevere è impressionante. Tanto impressionante che non può che costituire un fuoco di sbarramento per proteggere qualche pezzo grosso d’Oltre Tevere.
Dopo la “supertestimone” Sabrina Minardi, ecco che il 2010 viene inaugurato con un altro colpo ad effetto. In Turchia esce dal carcere per fine pena Alì Mehmet Agca, il terrorista dei Lupi Grigi che nel 1981 sparò a papa Wojtyla e venne per questo condannato all’ergastolo. La prima cosa che Agca libero dichiara ai giornalisti è che lui è “Gesu Cristo eterno” e che riporterà “Emanuela Orlandi viva in Vaticano”. Incredibile ma vero, Pietro Orlandi, fratello della povera Emanuela, ci tiene a dichiarare che a lui Agca è parso sincero e quindi credibile nonostante racconti l’esatto contrario di ciò che riferisce la Minardi. Nella famiglia Orlandi abbiamo un fratello di Emanuela che crede ad Agca e almeno una sorella della stessa Emanuela, Natalina, che crede invece sia sincera e credibile la Minardi. Ovvero: uno crede una cosa e l’altra crede l’esatto contrario. Credono? No comment. Mi limito a ricordare che, se non sbaglio, a “Chi l’ha visto?”, il programma di Raitre condotto da Federica Sciarelli, Pietro Orlandi a fine maggio ha dichiarato che la sorella sarebbe tornata a casa a giugno. Bene. Anzi, male: giugno infatti è passato, ma di Emanuela neppure l’ombra. As usual.
Occuparsi di Agca non è da persone serie, diamo invece un’occhiata più da vicino alla Minardi. Per dirla con don Abbondio: chi era costei?