Il “riconoscimento” della voce è avvenuto solo mercoledì 18 novembre 2009, eppure nel giro di poche ore dello stesso giorno, e quindi senza il tempo della benché minima verifica, la notizia ha invaso le redazioni al punto che il mattino successivo, giovedì 19, i quotidiani dedicavano alla nuova “svolta risolutiva” intere pagine. E’ evidente che qualcuno ha imbeccato le agenzie di stampa e le redazioni dei giornali, cosa che però non può avere fatto solo una persona, come per esempio un magistrato o un avvocato o un poliziotto: per convincere in così poco tempo così tante redazioni deve essersi mosso un intero ufficio. Quale? Viene in mente un altro episodio simile. Il Sisde, come si chiamavano allora i servizi segreti civili, pochi giorni dopo la scomparsa della povera Emanuela fa trovare sulla scrivania del giudice istruttore Margherita Gerunda una informativa nella quale, senza nessuna base, afferma che “probabilmente Emanuela Orlandi è stata rapita per essere scambiata con Alì Agca”. Gerunda convoca Agca per interrogarlo, e per evitare che i giornalisti se ne accorgano ordina che sia portato non a palazzo di giustizia, ma in questura. Guarda caso, quando il turco esce dall’interrogatorio e passa dal cortile della questura per essere riportato in carcere con il cellulare trova decine di giornalisti di testate italiane e di corrispondenti di giornali e televisioni di tutto il mondo.
Come che sia, quando si parla di riconoscimento della voce di una telefonata bisogna andarci cauti. Il telefono infatti, specie negli anni ’80, “taglia” le frequenze più alte e quelle più basse della voce, perciò il campione rappresentato dalle registrazioni è già almeno in parte monco. Inoltre dopo più di 26 anni la voce di chicchessia, anche dell’autore di una telefonata a casa Orlandi, è certo almeno in parte cambiata, se non altro per motivi ormonali, ai quali si possono aggiungere eventuali malattie, l’eventuale fumo e consumo di alcol, ecc. Già un paio di anni fa un pentito del banda della Magliana, Antonio Mancini, ha raccontato in una puntata del programma televisivo “Chi l’ha visto?” che la voce di “Mario” era quella di un certo “Ruffetto”, ritenuto “il killer preferito” da De Pedis. E’ stato appurato che Mancini si è sbagliato. Può succedere. Ma la logica dice che se si è sbagliato Mancini, che in quanto membro di un certo peso della banda della Magliana doveva conoscere “Ruffetto” piuttosto bene ed è quindi strano ne abbia confuso la voce, a maggior motivo è possibile che si sbagli anche la Minardi. O no?
L’attendibilità di Mancini è del resto già da molti anni piuttosto scarsa. Fa parte di quei pentiti che al processo per l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli, ucciso nel marzo 1978, hanno “rivelato” ai magistrati versioni fantasiose sulla destinazione dell’arma del delitto subito dopo l’omicidio, arrivando a sostenere che era stata a De Pedis, affermazione smentita dal fatto che nel 1978 e fino a tutto il ’79 “Renatino” era chiuso a chiave in carcere, a Rebibbia. Da allora Mancini e altri pentiti altrettanto fantasiosi non sono più stati ritenuti attendibili, almeno in sede giudiziaria, tant’è che la Corte di Cassazione a sezioni unite ne bolla non pochi in modo decisamente duro. Perché alla Rai invece gli danno retta?
Ma Il nome di Sabrina Minardi come salta fuori? S’è fatta viva lei spontaneamente? Può parere strano, ma della Minardi si comincia a parlare già nel 1998, vale a dire con 7 anni di anticipo sulla circolazione del suo nome nella redazione di “Chi l’ha visto?”. A citarla per primo è il giornalista Max Parisi, con un articolo del 26 giugno 1998 sul giornale La Padania intitolato “I turpi traffici della Banda della Magliana”. Dopo la pubblicazione nel giugno 2002 del mio primo libro sul caso Orlandi, nel quale rivelo che si era interessato alle indagini fin dalle prime ore un agente del Sisde, Giulio Gangi, amico di una cugina di Emanuela, Parisi lo contatta e si convince, a torto e ignorando le perplessità dello stesso Gangi, che sia Sabrina Minardi la misteriosa donna che nel 1983 l’agente del Sisde sospettò di avere a che fare con il “rapimento”.