La tomba in S. Apollinare può apparire inopportuna, ma è un fatto che De Pedis è morto incensurato. Dall’accusa di appartenenza alla banda della Magliana è uscito assolto il 21 gennaio 1988. Non miracolato dalla scadenza termini, come è avvenuto per altri, bensì assolto. Può essere una notizia sgradita, può suscitare meraviglia e sconcerto, ma è così: è stato assolto. E comunque la storia di quella sepoltura è molto semplice e lineare, è già stata chiarita una dozzina d’anni fa dal magistrato romano Andrea De Gasperis. Mi limito ad aggiungere che non è affatto vero che nella basilica di S. Apollinare sono sepolti papi e principi della Chiesa. Anzi, fino agli anni Cinquanta del 1900 ci veniva sepolta anche gente del quartiere.
La banda della Magliana è stata fatta diventare la classica notte nera in cui tutti i gatti sono neri, un contenitore buono per qualunque mistero, vero o presunto, e De Pedis è stato dotato del potere di ubiquità. Il carattere “epico”, pervasivo e perfino romantico che ancora oggi si accredita alla banda nasce solo con il libro “Romanzo criminale”, scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo ed edito nel 2002, per poi affermarsi definitivamente nell’immaginario collettivo con il film omonimo realizzato daMichele Placido nel 2005 e rafforzarsi con la successiva serie televisiva varata nell’ottobre 2008, forse la più bella serie tv prodotta in Italia. Ma un conto sono i romanzi, i film e le serie televisive, per quanto si basino su fatti realmente accaduti, un altro conto è la realtà.
La trasmissione “Chi l’ha visto?” e la partecipazione ad essa degli Orlandi suscitano più di una perplessità. Per esempio, le Orlandi presenti in studio e la stessa conduttrice Federica Sciarelli non fanno una piega quando ascoltano la telefonata dello sconosciuto “biondino” che nel luglio del 2008 si dice amico di De Pedis e però ne sbaglia clamorosamente il cognome chiamandolo “De Preti”. Altro esempio: Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, non smentisce la Sciarelli quando la conduttrice nella puntata dell’8 settembre 2008 afferma, sbagliando, che Emanuela il giorno della scomparsa anziché avere con sé la custodia con il flauto, strumento che imparava a suonare al conservatorio, aveva “la borsa con dentro il violino”, strumento con il quale la ragazza non ha mai avuto invece assolutamente nulla a che fare.
Fermo restando il fatto che, come ho dimostrato ampiamente nel libro sulla Orlandi, la ragazza che il poliziotto Bruno Bosco sostiene di avere visto parlare a fianco di una Bmw con uno sconosciuto – fatto diventare due anni fa De Pedis e pochi mesi fa Virtù – vicino al conservatorio e di fronte a palazzo Madama, sede del senato italiano, NON poteva essere Emanuela. Il poliziotto infatti dice che la ragazza da lui vista “aveva uno zainetto a spalla”, mentre invece nei giorni immediatamente successivi la famiglia Orlandi ha fatto pubblicare sui giornali un avviso ed affiggere in tutta Roma manifesti nei quali chiarisce che Emanuela “è uscita di casa con una borsa di cuoio”. Oltre che “con un flauto in una custodia rettangolare nera”, che Bruno Bosco NON ha mai menzionato. Del resto, ripeto, gli stessi magistrati che si sono già occupati del caso e lo stesso legale degli Orlandi hanno chiarito, i primi in una sentenza istruttoria e il secondo in una conversazione da me resa pubblica, che Emanuela NON è stata rapita. E che la faccenda dello scambio con Agca “è una messinscena per coprire qualcos’altro”.
Per coprire cosa e chi? Dicevo che non si depista per 27 anni di fila per coprire un barista o un impiegato del Vaticano. Ma neppure una guardia svizzera o un prete. Come che sia, perché continuare ad avvalorare versioni che non stanno in piedi e già affossate dalla magistratura?