L’eroismo però è durato poco. Per fortuna. Per fortuna, sì, perché non è giusto che un innocente stia in galera e non è giusto che una assassina sia libera. Capace quindi anche di uccidere ancora.
Michele Misseri non è stato però solo un padre che ha tentato disperatamente di coprire la figlia fino ad assumersi la responsabilità di un atto atroce. E’ infatti anche una figura umana più complessa, molto più complessa: che ci trascina nelle latebre più profonde, insondabili, misteriose e buie dell’animo umano, quelle esplorate dai grandi romanzieri russi. La prima volta che ne ho parlato l’ho accostato subito al romanzo “Delitto e castigo”. Accostamento anch’esso non azzardato. Michele Misseri poteva tranquillamente continuare a starsene zitto, a recitare a beneficio di tv, giornali e rotocalchi la parte dello zio in lutto e in lacrime per la misteriosa scomparsa della nipotina. Chi glielo ha fatto fare di portare dai carabineri il telefonino di Sarah e di raccontare che lo aveva trovato? Chi glielo ha fatto fare di aprirsi da solo le porte della galera? Della galera per sé prima, e per sua figlia dopo.
Chi glielo ha fatto fare? Qui la volontà di farsi catturare per poter poi trovare la forza di confessare la verità mi pare evidente. Misseri oltre a buttar via il cadavere di Sarah poteva buttare nello stesso pozzo anche il telefonino, o distruggerlo col fuoco, farlo in mille e più pezzi a colpi di pietra o martello e non pensarci più. Poteva così farlo sparire, del tutto e definitivamente. Invece non lo ha fatto. Misteriosamente, non lo ha fatto. Finché, anzi, non ha finto di averlo trovato, scavandosi così la fossa da solo. Fossa per sé stesso, ma anche e soprattutto poi per la figlia. Roso dai rimorsi? Forse la faccenda è più complessa.
Sì, forse la faccenda è più complessa. Sia per Michele che per Sabrina. E’ difficile, credo, che un padre butti così a mare, o meglio in galera, una figlia, per quanto assassina. Se invece nel delitto fosse in qualche modo coinvolta anche la moglie, la madre matrona che comandava a bacchetta Michele e lo trattava come uno zerbino, lasciandolo dormire su una sedia a sdraio, lui che si faceva il culo quadro alzandosi alle tre e mezzo di notte per andare a lavorare nei campi dopo avere fatto le pulizie in casa, mentre lei se ne stava stravaccata nel lettone matrimoniale, allora forse il discorso cambia.
La molla che ha spinto Michele a farsi incastrare, anzi a incastrarsi da solo e ad accusare sua figlia, è più comprensibile. Un marito troppo e troppo a lungo umiliato dalla moglie, umiliato anche agli occhi delle figlie e di conseguenza inevitabilmente anche da loro, umiliato come una cane troppo bastonato, può alla fine ribellarsi. E mordere. Come un cane troppo bastonato, appunto. Mordere la figlia per mordere, anzi sbranare la “mogliera”, come si dice ad Avetrana.