Il Sardinia Radio telescope ha un’enorme parabola di 64 metri di diametro che gli permette di trasmettere informazioni e immagini dallo spazio alla velocità della luce. È costato 67 milioni di euro e cinque anni di lavoro: ora però, questo autentico gioiello, tra i più sensibili in Europa, rischia anche di diventare il più inutilizzato dato che mancano le risorse per mantenerlo e per gestirlo.
«Per attivare e gestire una struttura del genere dove lavorerebbero una trentina di nostri ricercatori e tecnici occorrono 3-4 milioni di euro, ma nel 2010 non disporremo di quella cifra» racconta Tommaso Maccacaro, presidente dell’Inaf, l’Istituto che lo gestisce.
I budget dell’Istituto nazionale di astrofisica nel 2009 era di 92 milioni: nel 2010, scenderà a 89 milioni. I tagli dunque sono arrivati anche qui, ma la cifra a disposizione non si può certo dire esigua. Il problema delle risorse, che riguarda questo radioscopio ed anche altri, nasce nove anni fa, con la fondazione dell’Inaf, l’Istituto che ha racchiuso al suo interno 12 diversi osservatori astronomici e astrofisici presenti in Italia. Con gli anni, e con il riordino imposto poi dal ministro Moratti, il suo organico è passato da 900 agli attuali quasi 1.300 dipendenti.
Da qui nasce la ragione per cui probabilmente il Sardinia Radio telescope non entrerà mai in funzione. Il 90 per cento degli 89 milioni di euro messi a disposizione è infatti assorbito dal personale e, in parte, dai costi fissi per tenere in piedi le venti sedi sparse per l’Italia.
Dipendenti, amministrativi, ricercatori, contratti a termine, astronomi. Un esercito che è il cuore pulsante ma anche il tallone di Achille dell’ente. Un’esplosione burocratica che pure il presidente Maccacaro, alla guida dell’Inaf dal 2007, difende a spada tratta: «Non siamo un carrozzone, è il personale necessario ad operare e che abbiamo ereditato dagli enti che si sono fusi nel nostro istituto».
Per sopperire alle carenze finanziarie e per pagare le compartecipazioni nei più importanti progetti di ricerca internazionali, l’Inaf si è anche indebitato. Anche perché dal 2001 e fino ad oggi, per le attività che vanno oltre al pagamento degli stipendi e al mantenimento delle sedi, resta a disposizione all’Istituto solo il 10 per cento che equivalgono, nel 2010, a circa nove milioni di euro. Tuttavia, solo per la manutenzione e la gestione di un telescopio occorrono in media tra il 4 e il 10 per cento del costo di costruzione. Si parla in ogni caso di svariati milioni di euro.
Inaf ha stimato il proprio fabbisogno finanziario per il 2010 a 125,6 milioni di euro. Per questa ragione, i vertici dell’Istituto hanno battuto cassa al ministro Maria Stella Gelmini per ottenere i 30 milioni di euro che mancano, ma hanno ricevuto per risposta uno stanziamento perfino inferiore a quello del 2009, l’anno in cui il consiglio di amministrazione dell’ente ha disposto l’accensione di un terzo pesante mutuo bancario. «Senza un intervento finanziario ad hoc del ministero non potremo andare avanti», si legge nella relazione al bilancio.
Il presidente Maccario aggiunge: «Se si divide il budget di 89 milioni per i quasi 1.300 dipendenti si ha uno stanziamento pro capite di circa 70 mila euro. Quello dei nostri partner internazionali è talvolta il doppio».
