ROMA – L’Appennino preme sulle Alpi e la terra trema nella pianura Padana. Il fronte attivo del terremoto si estende da est ad ovest per oltre 50 chilometri in parallelo al fiume Po. La larghezza della pianura Padana da sud a Nord si riduce di alcuni millimetri l’anno sotto la spinta delle catene montuose. Il Corriere della Sera spiega che l’energia sprigionata nei terremoti è quella della faglia, o frattura, nata dallo scontro tra la placca africana che preme su quella euroasiatica. Claudio Carabba, geologo dell’Ingv, ha spiegato al Corriere che le scosse potrebbero durare per anni e che al momento gli scienziati non sono in grado di prevedere i nuovi terremoti e le eventuali magnitudo.
Carabba ha comunque specificato che la situazione è meno grave di quanto si potrebbe pensare. Lo sciame sismico che dal 20 maggio ad oggi interessa l’Emilia indica delle microframmentazioni della struttura geologica della val Padana. Se la frattura fosse stata netta il terremoto nella pianura sarebbe stato forse uno solo, ma decisamente più forte delle magnitudo delle centinaia di scosse registrate fino al 31 maggio, che vanno da 2 a 5.9.
L’idea diffusa che la Val Padana non fosse una zona a rischio sismico viene spiegata da Carabba: “Che nei secoli recenti non si fossero registrate scosse violentissime è vero e questo ha indotto a pensare che non esistessero problemi gravi”. Questo perché le mappe del rischio sismico si basano sugli eventi passati, e l’ultimo terremoto di tale entità nella zona dell’Emilia è stato osservato nel 1570 a Ferrara. L’esperto dell’Ingv spiega comunque che riclassificazioni continue di ampie zone vengono eseguite dai geologi in funzione dell’attività sismica, e che proprio nel 2003 la pianura Padana era passata da zona a rischio zero in zona a basso rischio.
Carabba spiega poi che più che valutare il rischio, oggi viene valutato il “pericolo”: “Il rischio deve tener conto non solo della vulnerabilità del territorio in base agli eventi statistici del passato, ma considerare anche il valore economico della zona, i suoi insediamenti produttivi. Quindi in certi luoghi rimasti disabitati o scarsamente popolati il pericolo può essere alto ma il rischio basso. Invece se ci sono attività produttive il rischio diventa alto e quindi bisogna agire di conseguenza. Ecco, questo passo non è stato ancora compiuto ed è un processo che deve coinvolgere oltre i geofisici anche ingegneri ed economisti e altri esperti”.
Resta il fatto che il terremoto in Emilia è un fenomeno molto difficile da comprendere per gli stessi scienziati, e occorrerò molto tempo prima che geologi e scienziati possano trarre delle conclusioni e valutare gli interventi da eseguire. Intanto la terra inizia a tremare in tutta Italia, ma Caranna avvisa che il fenomeno non può considerarsi esaurito: “Gli scienziati non sono in grado di dire se vi sia ancora dell’energia che deve liberarsi dal sottosuolo padano. Quindi ritengono ancora possibili delle scosse anche di intensità elevata paragonabile alle ultime verificatesi. Potrebbero essere necessarie altre settimane se non addirittura dei mesi perché il fenomeno possa essere considerato esaurito”.