Alcune tra le più preziose e amate bambole di plastica, prodotte negli Anni Cinquata e Sessanta, o ancor prima, sono state infettate da un virus mortale altamente contagioso che ha sconcertato gli esperti.
Sulla pelle delle bambole si formano delle macchie verdi e dagli occhi sgorgano lacrime. La ”malattia delle bambole” non può essere fermata o curata, ma adesso esiste una tecnologia per rallentare il virus e prolungare la vita di Barbie per alcuni anni ancora controllando il clima dei locali dove sono conservate.
Qualcuno si chiederĆ per quale motivo sprecare costosa energia per conservare simili giocattoli poco costosi. Risponde Yvonne Shashoua, ricercatrice di conservazione al National Museum of Denmark di Copenhagen, le vecchie bambole, per esempio danno un’idea della moda del tempo, della sua storia e di che tipo di tecnologia esisteva anni addietro.
Le bambole Barbie, assieme a molti altri giocattoli, vestiti e isolamenti elettrici che si trovano in case e musei sono fatti di cloruro di polivinile (PVC). In queste collezioni si trovano mini-gonne, mobilio di plastica e sculture moderne.
Musei in ogni parte del mondo conservano questi oggetti di plastica nelle loro collezioni e vogliono conservarli affinchè le future generazioni possano studiarli e goderne. E per ottenere ciò sono in corso ricerche scientifiche finalizzate a quegli obiettivi.
“La degradazione della plastica ĆØ una bomba a orologeria”, spiega Yvonne Shashoua, ricercatrice di conservazione al National Museum of Denmark di Copenhagen. In termini molecolari, infatti, la plastica ĆØ costituita da polimeri, gruppi di molecole fatte di lunghe catene di carbonio. Nel tempo, i legami chimici che tengono insieme queste catene si rompono man mano che vengono attaccati dall’ossigeno o dai raggi ultravioletti, o semplicemente si indeboliscono per effetto del calore ambientale.
Le conseguenze di questi processi hanno lasciato un segno indelebile su oggetti risalenti al XIX secolo o all’inizio del XX, come le pellicole fatte di celluloide o gli artefatti realizzati in cellulosa acetata. “Per questo e altri tipi di plasticaĀ –Ā spiega ancora la ricercatrice – la decomposizione ĆØ autocatalizzata: quando i legami iniziano a rompersi, rilasciano degli agenti chimici che attaccano le catene stesse dei polimeri. In sostanza, si tratta di un meccanismo autodistruttivo difficile da bloccare, una volta avviato”.
La bambola Batrbie corre poi un altro pericolo perchĆØ spesso indossa orecchini e il cloruro di idrogeno prodotto dalle sue guance reagisce al rame degli orecchini che macchia la pelle. Il deterioramento del PVC si manifesta in vari colori: bianco, giallo, rosa, marrone e, finalmente nero.
Una strategia per arginare il problema consiste nell’aggiungere composti anti invecchiamento capaci di bloccare la degradazione fin dalle sue fasi iniziali. Alcune di queste sostanze agiscono come degli schermi solari che proteggono le catene da ossigeno, luce e raggi ultravioletti. Spesso, però, gli additivi sono costosi e vengono centellinati in fase di manifattura. Oppure possono perdere la loro efficacia, lasciando “scoperto” il polimero e aprendo cosƬ la strada alla degradazione.
Tra gli strumenti più innovativi utilizzati c’ĆØ una pistola a raggi infrarossi utilizzata per misurare la composizione fisica degli oggetti in plastica. La pistola, denominata Phazir,Ā ĆØ uno spettrofotometro che emette radiazioni nella lunghezza d’onda dell’infrarosso e, registrando la radiazioni assorbite dall’oggetto, ĆØ in grado di stabilire con precisione la composizione dell’oggetto analizzato. “L’obiettivoĀ –Ā spiega Matija Strlic, una delle ideatrici della PhazirĀ –Ā ĆØ fornire ai restauratori un mezzo non invasivo capace di valutare i diversi materiali plastici”.
