CATANIA – L’Etna è inquieta. Le ultime scosse di terremoto, sei, risalgono alle prime ore del mattino dell’undici maggio. Prima ancora, solo negli ultimi giorni, nel distretto sismico del vulcano la terra ha tremato, secondo il sito dell’Ingv, 21 volte in una settimana. Tutte scosse di modesta entità: un terremoto l’otto maggio, due il sette, ben tredici il sei, cinque terremoti il cinque del mese.
E l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia segnala il vulcano in fase di leggero aumento dell’attività. Per ora, sia chiaro, la situazione non desta particolare preoccupazione. La domanda su cosa stia accadendo all’Etna, è però lecita.
Una risposta dettagliata e parzialmente innovativa viene da un esperto in materia, il vulcanologo Mauro Coltelli. Lo studioso ai movimenti dell’Etna ha dedicato il suo ultimo lavoro,
pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Earth and Planetary Science Letters, con il titolo di “Continental margin large scale instability controlling the flank sliding of Etna volcano”. Si tratta di uno studio condotto, in collaborazione tra i vulcanologi Coltelli e Danilo Cavallaro dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Catania, ed i geologi marini Francesco Latino Chiocci e Alessandro Bosman dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e dell’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del CNR.
Partendo da un fatto noto, ovvero che il fianco orientale etneo si muove verso il mare con la rapidità di alcuni centimetri l’anno, lo studio illustra un nuovo e originale modello di scivolamento del fianco orientale etneo causato dal collasso della scarpata continentale ionica della Sicilia, di fronte all’Etna, le cui ripercussioni potrebbero avere grandi conseguenze sull’evoluzione del vulcanismo.
In sintesi è stato scoperto che la scarpata continentale della Sicilia, dalla costa sino alla profondità di oltre 2.000 m, presenta un anomalo rigonfiamento di fronte all’Etna che coincide esattamente con la regione che scivola verso il mare. La scarpata è profondamente incisa da una serie di enormi scarpate semicircolari, interpretate come prova di un’instabilità gravitazionale a grande scala. Tali strutture sono lunghe diverse decine di chilometri e permeano tutto il margine continentale estendendosi fino al settore costiero del vulcano dove, infatti le deformazioni del suolo sono più intense.
L’intrusione di grandi quantità di magma nella crosta sotto il vulcano avvenuta negli ultimi centomila anni avrebbe causato il grande rigonfiamento del margine continentale sommerso, creando un disequilibrio gravitazionale che si propaga fino al fianco emerso del vulcano. Questo meccanismo causerebbe una decompressione nella crosta terrestre che permetterebbe la risalita dei magmi senza un prolungato stazionamento, permettendo l’eruzione di magmi basaltici a causa proprio della loro veloce risalita dal mantello. Infatti, l’Etna è un vulcano basaltico la cui anomala posizione sopra una spessa crosta continentale, interessata dai movimenti compressivi che hanno generato la catena appenninica, è inusuale e anomala, come è stato ampiamente dibattuto dagli scienziati negli ultimi 20 anni.
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