BERGAMO – Quando qualche settimana fa vennero scoperte tracce di due Dna sui guanti ritrovati indosso a Yara, gli inquirenti speravano di essere vicino alla soluzione del giallo. Centinaia i confronti da fare: tra chi ha avuto precedenti (e quindi risultava nel database degli inquirenti) e chi invece rientrava nel giro di conoscenze della 13enne di Brembate. Pregiudicati, amici, parenti, anche solo conoscenti alla lontana. Settimane di analisi e ricerche non hanno portato però a un risultato.
Siamo dunque al punto di partenza: i due Dna isolati appartengono a un uomo e una donna, nulla di più. Con un piccolo giallo nel giallo. Yara, al momento del ritrovamento del corpo il 26 febbraio scorso, non aveva i guanti indosso, ma li aveva ordinatamente piegati e riposti in tasca. Un gesto che avrà fatto quando era ancora viva? E perché in una fredda serata di novembre inoltrato non ha voluto proteggere le mani dal freddo? Queste domande suffragano un’ipotesi mai tramontata, e cioè che la ragazzina quel 26 novembre accettò un passaggio in macchina da una persona che conosceva. Salita in auto, avrebbe quindi sfilato i guanti.
