”Con la scomparsa di Yara Gambirasio non c’entravo proprio nulla. Ho vissuto un incubo”. Sono le parole di Mohammed Fikri, il marocchino fermato per la scomparsa della tredicenne a Brembate e poi rilasciato, in un’intervista al Corriere della Sera.
”Quando ti accade una cosa del genere è difficile anche solo mangiare o prendere sonno, perché purtroppo ti cambia la vita”. Mohammed Fikri racconta che si era imbarcato il 4 dicembre sul traghetto che l’avrebbe portato in Marocco, per un periodo di riposo dal lavoro. Un periodo concordato con il suo principale.
”Ero andato a cena e stavo parlando dei miei connazionali. Tutto tranquillo. Poi, all’improvviso, si sono avvicinati due ufficiali della nave e mi hanno chiesto i documenti. Glieli ho dati senza batter ciglio. Mi hanno chiesto di seguirli nella cabina di comando. Ho trovato dei militari italiani che mi hanno fatto delle domande. Non avevo mai sentito neanche il nome di Yara. Poi mi hanno fatto pure vedere la foto. Niente. Non l’avevo mai vista. Mi hanno detto che avrei dovuto seguirli. Siamo rientrati in porto. Mi sono ritrovato in cella, a Bergamo e da quel momento è cominciato il mio incubo”. Fikri racconta che durante gli interrogatori ha risposto a tutte le domande e ”poi meno male – aggiunge – che hanno riascoltato la telefonata e hanno capito bene le parole che avevo pronunciato nel mio dialetto”.
Nonostante tutto, non serba rancore per l’accaduto. ”Io sono musulmano e la mia religione m’impone di chiedere perdono anche per chi ha sbagliato. Io ho gia’ perdonato”. L’unica cosa che chiede e’ che ”l’Italia mi restituisca la dignita”’.