LONDRA – Esiste una corrente di pensiero ecologico che è riuscita ad adattarsi agli imperativi della mode e ai trend delle élite mondiali. Molte celebrità del jet-set che hanno a cuore l’ambiente non possono ormai fare a meno di prodotti come i jeans organici di indaco naturale, lo champagne biologico Fleury, e perfino di macchine di lusso come la Porsche 918 a tecnologia ibrida.
Il paradosso di questa tipologia di eco-consumismo è che permette di perpetuare la mentalità alla base dell’attuale inquinamento globale. Ad affermarlo è il quotidiano britannico progressista, il Guardian, in un editoriale che mette alla berlina alcune delle personalità più in vista del panorama inglese.
Il giornalista Ed Gillespie afferma: “Prodotti organici, auto ibride, stazioni turistiche di eco-turismo – cosa sembra meglio di questo fantastico, indulgente “ambientalismo champagne”? Seppure la crescita esplosiva del mercato ecologico possa sembrare positiva, essa è in realtà la perpetuazione di un modello economico consumista che ci ha precisamente condotto alla difficile situazione di oggi”.
Di fatto l’attuale “scena verde” è inquinata da ipocrisie, negligenze, attitudini falsamente etiche ma in realtà pretenziose. I numerosi vip che hanno fatto propria la “causa di madre natura” lo hanno spesso fatto senza una veritiera presa di coscienza, e continuando ad adottare atteggiamenti contrari alla causa promossa.
Si chiama ecologia – si chiede il Guardian – quando il Principe Carlo promuove una campagna per l’utilizzo delle biciclette percorrendo in treno la Gran Bretagna, con un grande dispendio di CO2? Si pensi poi alla progressista Trudie Styler, consorte del cantante Sting, che ha fatto viaggiare tutto il suo entourage, parrucchiera compresa, da New York a Washington, per andare ad una festa. O ancora, cosa pensare di John Travolta che ci incoraggia tutti a fare “qualcosa per il cambiamento climatico” e che possiede cinque jet privati?
Qualcuno pensa che questa mentalità, superficiale e vanitosamente engagé, potrebbe un giorno diffondersi in tutti i settori della popolazione, aiutando a creare un clima più fertile per una vita veramente più ecologica. Tale interpretazione si sbaglia clamorosamente. Il grosso da fare è nella dimensione della consumazione, non nella sua qualità.
Ci piace credere che il riscaldamento globale derivi ormai dalla crescita demografica esplosiva di paesi in via di sviluppo, come l’India e la Cina, ma si tratta in realtà di un comodo paraocchi. Studi dimostrano che il 7% più ricco del pianeta produce oggi il 50% delle emissioni di CO2.
Quel 7% siamo noi occidentali, europei e nordamericani, e certamente non le moltitudini asiatiche, sulle quali ci piacerebbe scaricare il barile. Sono dunque i nostri modi di vita, e i nostri modelli economici che devono essere radicalmente ripensati. I prodotti eco-compatibili, che siano di lusso o no, rappresenteranno solo un placebo per le nostre coscienze ecologiche. Quello che dobbiamo imparare è l’arte della frugalità, il primo passo verso un autentico rispetto della natura.
