Baldini, Ancelotti, Zeman. Tre nomi, che prima ancora che successi, vogliono dire identità. La Roma “americana”, stando alle indiscrezioni pubblicate da più giornali, potrebbe ricominciare proprio da questi tre: il manager dei grandi colpi di mercato, da Batistuta a Cassano, passando per Samuel ed Emerson, il maestro del calcio pulito e a trazione anteriore, e l’allenatore che tornerebbe a casa quasi trent’anni dopo lo scudetto vinto coi vari Falcao e Di Bartolomei.
Di strada, sia chiaro, ce n’è ancora molta da fare. Innanzitutto la Roma non è ancora “americana”: le trattative con la cordata capeggiata dal magnate di Boston Thomas R. DiBenedetto proseguono. Paolo Fiorentino e Piergiorgio Peluso, i due dirigenti di Unicredit volati a New York con la mission di cedere il club hanno dovuto prolungare il soggiorno americano. Vuol dire due cose, una bella e una così così. Nel dettaglio significa che la trattativa c’è ma che è difficile, spigolosa e tutt’altro che scontata nell’esito. La Roma è una specie di matrioska con dentro società indebitate (Trigoria, il marchio) e gli americani vogliono garanzie precise prima di imbarcarsi in un’impresa in terra straniera.
Eppure i nomi circolano e hanno il sapore di una Roma che fu, potente e contro il potere al tempo stesso. Franco Baldini direttore generale, Carlo Ancelotti allenatore e Zdenek Zeman responsabile del settore giovanile. Tre nomi che mettono insieme la “crema” delle gestioni di Dino Viola e Franco Sensi: gestioni che hanno vinto e che della “lotta al palazzo” hanno fatto una bandiera.
Carlo Ancelotti era un’icona della Roma di Viola che strappò lo scudetto alla Juventus nel 1983 e si fermò a undici metri dalla Coppa dei Campioni l’anno dopo. Quel Viola così ostile al “palazzo” da essere letteralmente preso a calci in tribuna a Torino. Ancelotti andò via da Roma troppo presto. Viola lo diede per “bollito” e Galliani se lo venne a prendere a Trigoria in elicottero. Una sorta di mesto passaggio di consegne: la Roma si preparava a un decennio di stagioni modeste mentre nasceva il grande Milan di Berlusconi.
Da quando ha cominciato ad allenare Ancelotti non ha mai fatto mistero di voler tornare. E forse è l’uomo giusto: amato dai tifosi nonostante una piccola caduta di stile (da allenatore del Milan negò l’evidenza di un gol di mano fatto da Inzaghi), e comunque in nessun modo assimilabile al sistema di Luciano Moggi.
Baldini e Zeman, invece, sono il simbolo di una Roma “demoggificata” e ostile al “sistema”. Zeman è indubbiamente la sfida più suggestiva, visto che rappresenta l’utopia assoluta nel calcio: vincere col gioco e nonostante i giochi, vincere con patate, gradoni e sudore e senza usare le farmacie. Al boemo toccherebbe il settore giovanile e il pensiero corre alla “cantera” del Barcellona dove tutte le squadre, dai pulcini alla primavera, giocano con lo stesso modulo nel nome di un progetto comune. Zeman funziona anche da “sistema di sicurezza”: se a Trigoria c’è lui, questo è certo, non ci sarà spazio per altri personaggi. Solo per fare un esempio, quando Sensi lasciò il timone alla figlia Rosella, si parlò di Alessandro Moggi (figlio di big Luciano) come dirigente della Roma. I tifosi erano pronti al picchettaggio e alla fine non successe.
Quanto a Baldini, per i tifosi significa due cose: le liti fuoribonde con Moggi e, soprattutto, la fine delle stagioni delle “nozze coi fichi secchi”, dell’autofinanziamento, del cedere il “pezzo grosso” di turno per poter fare mercato. Alla vigilia del Fair Play finanziario non è poco.
Intanto, stasera (20:45, Rai Uno), la Roma va a Torino a giocarsi con la Juve un posto in semifinale di Coppa Italia. Sembra incredibile: c’è Juventus – Roma, ma nella capitale non se n’è accorto ancora nessuno.