Che poteva fare il centravanti modenese nato a Pavullo, carico di medaglie, con una carriera grondante gol ovunque, meno che in riva al Bisagno, il fiume secco che scorre a pochi metri dallo stadio Luigi Ferraris, mancato tempio per Toni, che lì non è riuscito a farsi consacrare? Si è offeso a morte. Rapporto rotto, Mercato riaperto e Toni in pista per l’ennesimo trasloco della sua preziosa carriera.
Il giorno della Befana, match in casa del Genoa contro la Lazio dei miracoli di questo inverno, Toni ci ha provato ancora sotto gli occhi furibondi del presidente Joker, che in uno stadio di Marassi ghiacciato dalla tramontana scura che soffiava dalle alture genovesi, lo puntava o meglio lo fucilava, stretto nel suo capottino di cashmere blu e nel suo umore nero come il cielo zeneise.
Un colpo di testa alto sulla traversa, una palla tirata addosso al portiere da due metri, un’altra testata senza misura e una partita più da paracarro che da bomber dal palmares d’oro.
E così Toni è decollato e il Genoa è rimasto ancora una volta senza la sua punta.
E così soprattutto Preziosi, il cavaliere solitario del calcio del terzo Millennio, quello sopravvissuto a tutte le tempeste, ha affondato il suo undicesimo centravanti in quattro campionati.
Una vera strage e non di personaggi qualsiasi del calcio, ma di veri bomber, che se metti insieme tutti i gol che hanno segnato nel mondo riempi veramente una decina di porte.
Una specie di rapporto edipico in cui Preziosi se la gioca da figlio che assassina i centravanti-padri che lui non è mai riuscito a diventare, da quando giocava a pallone nei vicoli di Avellino. Prima di Toni e con Toni tutti venduti, ceduti, licenziati, regalati, insomma deviati via da una Genova, che assiste sbigottita senza dire una parola, terrorizzata com’è da questo presidente-padrone che fa e disfa cento volte, altro che la famosa tela, ma che nessuno osa toccare perchè ha fatto due miracoli: ha fatto risorgere due volte il vecchio Genoa Criket and Football Club dalla serie C. Una prima volta dove l’aveva salvata, acquistandolo da un mister x del calcio il mestrino imprenditore di profumi Luigi Dalla Costa e una seconda dove l’aveva precipitato la giustizia sportiva, con l’accusa di avere comprato la famosa partita Genoa-Venezia del giugno 2005.
In tre anni dalla C alla A e in quattro a sfiorare la Champion League con i gol di Diego Milito, inventato da Preziosi, mentre stava retrocedendo nella serie B spagnola senza che nessun presidente, procuratore, agente, talent scout se ne fosse accorto che quello era il vero bomber europeo e mondiale.
Come si fa a dire qualcosa a Enrico Preziosi dopo questa resurrezione, dopo dodici anni di serie B, umiliazioni spaventose, squadre, giocatori e allenatori anonimi, dopo che lui ha creato Giampiero Gasperini, il mister del calcio più bello mai visto sotto la Lanterna e incenerito dallo stesso presidente, come in un fratricidio, due mesi fa, solo perchè il campionato andava un po’ meno bene del previsto e faceva la squadra senza una mentalità troppo aziendalista?
Non si può e in questo modo, nel black-out dei tifosi, continua la strage dei centravanti.
Il primo a saltare era stato Di Vaio, che con il Genoa era tornato in A e che è stato liquidato per esigenze tattiche. Non sarebbe piaciuto troppo più che a Preziosi a Gasperini, ma fu bruciato e dopo riesplose e riesplode ancora a Bologna dove ha sfiorato la vetta della classifica cannonieri e dove continua a fare gol come una macchina.
Va be’! Poi era arrivato niente meno che il signor Borriello, un mezzo fallito fino a quel momento e che nel Genoa aveva fatto faville, tante da essere ripreso dal Milan comproprietario con il benestare di Preziosi. Per forza: il pres. aveva l’asso nella manica: Diego Milito, il centravanti che più di ogni altro, dopo i mitici Verdeal, che centravanti era e Abbadie, mezzapunta, un argentino e un uruguagio, hanno fatto sognare nella storia rossoblù.
Sogni dolci e di gloria, probabilmente molto simili a quelli degli anni Sessanta per un piccolo-grande campione come Meroni, quello morto a Torino sotto una macchina dopo la partita e come Aguilera e Skuhravy negli anni Novanta, il piccolo uruguaiano e il gigante cecoslovacco del miracoloso Genoa di Bagnoli.