MILANO – I festini? “solo gare di burlesque” e gli abiti da suora, “vestiti regalati da Gheddafi”. Silvio Berlusconi si presenta a sorpresa nell’aula del processo Ruby dove è imputato di concussione e prostituzione minorile, e nella pausa dell’udienza prima, e al termine della stessa dopo, da ai giornalisti la sua versione dei fatti sulle serate di Arcore. Versione del tutto opposta a quella ipotizzata dai magistrati. Descrivendo quelle che definisce “cene eleganti”, l’ex premier spiega: “le ragazze si travestivano da poliziotte e facevano gare di burlesque”. “Riprenderei a farle – insiste – è una forma di spettacolo riconosciuta ufficialmente e molto meno estrema di quello che si vede in televisione e nei teatri pubblici”. Il leader del Pdl, riprende poi l’argomento delle ragazze-testimoni che si occupa di mantenere perché il processo avrebbe loro “rovinato la vita. Hanno perso il lavoro, i fidanzati, e forse non ne avranno mai più”.
“Ho sempre mantenuto ragazze, ragazzi, uomini, anziani, perché me lo posso permettere”. E ancora ad Arcore c’era “un’atmosfera di simpatia e gioiosita’” quando le ospiti scendevano al piano di sotto, dove c’è un teatro, e si esibivano in balli e travestimenti. Ma non da suore, ma con “abiti neri con gioielli” ricevuti “in dono da Gheddafi. Ho in guardaroba almeno 60 abiti” donati dall’ex leader libico. “Me li fece arrivare con un container senza dirmi nulla”. E ancora su Ruby: “E’ una ragazza che mi ha fatto veramente tanta pena, ha raccontato una storia di vita drammatica”.
L’ex premier spiega che aiutò economicamente la giovane marocchina perché aveva espresso il desiderio di comprare delle apparecchiature per diventare socia di un centro estetico. “L’aiutammo per darle la possibilita’ di non doversi vendere”. E sulla vicenda delle telefonata alla questura di Milano ribadisce: “E’ stato mio dovere” perché la ragazza era stata segnalata come la nipote di Mubarak, “ho agito come presidente del Consiglio”. Durante l’udienza erano andate in scena alcune testimonianze cruciali: quelle dei funzionari di polizia coinvolti nella concitata notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 quando la giovane marocchina venne fermata per un furto e arrivò in questura la telefonata dell’allora premier. A riceverla il capo di gabinetto Pietro Ostuni. “Col passare delle ore – racconta – era emerso chiaramente che la ragazza non era egiziana, ma marocchina, e suo padre faceva l’agricoltore in Sicilia. Mi ero convinto che non fosse la nipote di Mubarak”. In più momenti Ostuni è stato incalzato dalle domande del pm Ilda Boccassini, che non è apparsa soddisfatta dalle risposte generiche fornite dal funzionario, sul perche’, ad esempio, non avesse informato Berlusconi della scoperta che Ruby non era la figlia del leader egiziano.
“Sono sincero – risponde – non so dare una spiegazione. Forse un margine di dubbio dentro di me mi era rimasto”. Sempre con un “non so, non ci ho pensato in quel momento” il funzionario ha replicato alla domanda sul perché non avesse informato il questore. A riferire che la notte del fermo Ruby ammise di non essere nipote di Mubarak è il commissario Giorgia Iafrate, sentita come teste, che avvisò subito il suo ‘superiore’ delle reali generalità della minorenne. “Riferii anche ad Ostuni che il pm dei minori aveva disposto di affidare la ragazza ad una comunità, ma in seguito lui mi avvisò dell’arrivo di un consigliere ministeriale che se ne sarebbe occupata”. Ruby venne quindi affidata alla consigliera regionale lombarda Nicole Minetti. Una scelta, ha giustificato Iafrate, fatta “per il bene della minore”. A confermare la regolarità della procedura seguita è l’ex Questore di Milano Vincenzo Indolfi anche se, dice, di come fossero andate le cose quella notte “l’ho saputo in riunione il giorno dopo”.
Le dichiarazioni che Berlusconi ha rilasciato ai giornalisti: