
Il Mediterraneo occupa appena lo 0,82 per cento degli oceani, ma con le sue 8.500 specie animali e vegetali – secondo dati Wwf Italia – è un vero e proprio scrigno di biodiversità che rappresenta il 7,5 per cento di tutte le specie marine finora conosciute.
Le trivellazioni petrolifere a 1700 metri di profondità (superiore a quelle del Golfo del Messico) annunciate da Bp nel Golfo della Sirte, davanti alla Libia e a poche centinaia di miglia marine dalla Sicilia, potrebbero rappresentare, sottolinea il Wwf Italia, ”un colpo gravissimo” all’habitat del Mediterraneo, mare di fatto ‘chiuso’ per l’unico accesso all’Oceano Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra, e che impiega circa 150 anni per portare a termine il ricambio delle acque, come precisato dal presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli.
Ecco le specie, molte delle quali uniche al mondo, a rischio in possibili incidenti con dispersione di masse di petrolio in mare, come l’attuale caso della marea nera negli Usa:
La posidionia, una pianta marina ‘superiore’ (fa cioè la fotosintesi clorofilliana, e ha radici, fusto, e produce fiori) che vegeta solo nel Mediterraneo. E’ fondamentale per prevenire l’erosione delle coste, riserva biologica per eccellenza, purtroppo massacrata dagli ancoraggi selvaggi, e dall’inquinamento.
Il corallo rosso, specie minacciata dalla pesca non sostenibile subita e perciò già proposta per l’inclusione nella lista Cites. E’ una colonia di polipi (piccoli organismi) molto sensibile all’inquinamento che si trova sempre più in profondità. Tra le barriere coralline di acque profonde – nei cosiddetti deep sea habitats – la più nota è a Sud di Santa Maria di Leuca.
La foca monaca (Monachus monachus), dopo anni di allarme estinzione ha una popolazione di nuovo crescita e conta circa 500 esemplari, stanziali nelle acque di Turchia, Grecia (isole Sporadi), coste nordafricane, Croazia, e Istria. Gli ultimi avvistamenti riguardano proprio l’Italia, da Portofino all’arcipelago toscano e alle isole Egadi.
Il gabbiano corso, dal manto chiaro e becco rosso corallo. Si nutre esclusivamente di pesce, è confinato in pochissime piccole isole dove si contano in totale 500 coppie. Contrariamente al gabbiano comune non è opportunista, non cerca cibo nelle discariche ed è poco confidente. La sua presenza è di fatto una cartina tornasole del buono stato delle nostre coste.
La balenottera Physalus, tipica del Mare Nostrum. Ha come area privilegiata il Santuario dei Cetacei. Spesso osservata nelle acque circostanti Lampedusa, balenottera comune (Balaenoptera physalus) può raggiungere i 20 metri e pesare 80-90 tonnellate. E’ una delle balene più veloci e può superare i 40 km/h, tanto che è stata chiamata il ‘levriero del mare’.
Le tartarughe marine, Caretta Caretta in primis, ma c’è anche la tartaruga Liuto. Minacciate dalla pesca incontrollata, si riproducono in Nord Africa, Turchia, e Grecia, mentre per la nutrizione predilige alcune spiagge in Italia e lungo coste Libia.
Il tonno rosso (Thunnus thynnus) del Mediterraneo, è al momento la specie di maggior valore commerciale a livello globale. Sotto scacco per la pesca industriale che subisce, rischia, anche perché ha una maturità sessuale tardiva, di non essere più commerciabile. Anche per questa specie proposta alla Cites.
Il delfino comune, nonostante il nome è un animale molto raro. Su tutti questi animali il Wwf sta facendo una campagna ‘Mare’ per le otto minacce che gravano sul Mediterraneo, tutte di origine antropica.