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Sperando in un ritorno alla adolescenza, ho comprato in dvd il film Amore 14 di Federico Moccia.
Peccato che per capire cosa dicessero nel film, ho dovuto fare ricorso ai sottotitoli, come per un film in lingua straniera.
Gli attori parlavano quel romanaccio spezzettato, frammentato, aspirato che oggi imperversa al cinema e in tv.
Situazione disperata.
Se voglio vedere un film sul meridione, oltre a problemi di lingua, ci sono anche le deprimenti storie che trasformano il sud d’Italia nel paradiso dei camorristi e dei mafiosi.
Se voglio respirare un po’ di nord, vado al grande affresco storico di Barbarossa e scopro che Alberto da Giussano, eroe leghista, è interpretato da un attore israeliano mentre alla sua amata dà volto e corpo non una bella lumbard ma una peraltro e bellissima polacca. Nessun pregiudizio, per carità : ma l’insieme appare, come dire, incongruo.
Dice De Sica: la volgarità è nel paese. Mi ricorda Giorgio Forattini quando teorizzava che la comicità è volgare e rimandava ai classici del teatro greco e latino.
Purtroppo c’è comicità e comicità , c’è volgarità e volgarità : da noi cosa c’è di meglio di una pernacchia, di una parolaccia. Come a scuola per un rumore sospetto o un doppio senso si ride alle lacrime, anche in sala il rumore volgare, meglio se da flatulenza, ha un effetto travolgente.
Non è tutto qui il cinema italiano, ma il resto non ha nemmeno il guizzo della volgarità , è solo noioso o scombinato o approssimativo. Fanno tenerezza i giornali quando si sorprendono perché nel mondo nessuno ci considera.
Dice: però tra i vincitori degli Oscar ci sono stati degli italiani. Si, dei nomi italiani, ma inseriti in un sistema creativo e industriale tutto americano.
Là c’è il mercato, qui il Ministero della cultura dove peraltro, al posto di Goebbels, c’è Bondi.