Uno studio condotto da un consulente inglese e finanziato con i fondo dell’Unione europea prende una posizione metta a favore de i prodotti di lusso taroccati: borse, orologi e altri prodotti della moda che vanno sotto il nome di accessori.
Che male c’è? si chiedono gli inglesi e a sostenerli in questo loro amletico dubbio si è schierato, nell’ultima domenica di agosto, uno dei giornali più autorevoli e importanti, il Telegraph un quotidiano molto reazionario e anche molto vicino all’attuale governo britannico.
La risposta del Telegraph è rassicurante: Non c’è nessun male. Non ha senso alcuno stangare un cittadino con multe fino a mille euro per un tarocco comprato in strada. Anzi, paradossalmente, il falso potrebbe anche aiutare l’economia a uscire dalla crisi. Dopo che uno si è comprato una bella borsa di Gucci, Louis Vuitton o altre costossime griffe, ma a prezzi stracciati, lo spirito ne gode e il mondo migliora.
Secondo l’autore dello studio, il professor David Wall, consulente in materia di criminalità dello Home Office, il ministero dell?interno inglese, distogliere fondi pubblici e forze di polizia per questo genere di attività repressiva, quando ci sarebbe da fare nel campo del terrorismo e in quello della droga, non è un’idea molto furba: «Dobbiamo concentrarci piuttosto sul commercio di farmaci contraffatti, parti di aerei non sicure, e altre cose che creano danni reali ai cittadini».
Fa notare Wall che il giro d’affari dei prodotti di moda più o meno taroccati non incide più di tanto sui fatturati dei grandi “brand”, anzi, le perdite nel settore causa contraffazione sarebbero gonfiate rispetto ai dati reali, «perché la maggior parte di coloro che acquistano prodotti falsi non avrebbe mai pagato quel che viene chiesto per l’ originale».
Segue un’idea che sembra concepita a Forcella e che certamente farà smoccolare parecchio non solo un sanguigno toscano come Patrizio Bertelli di Prada, ma anche un francese freddino assai come Bernaud Arnault di LVMH: «I prodotti contraffatti possono effettivamente promuovere l’azienda che li crea, facendo conoscere le nuove collezioni ad un pubblico più ampio».
E ancora: «Ci sono prove che la vendita a basso costo aiuti effettivamente le grandi case di moda, accelerando il ciclo di sensibilizzazione al marchio”.
Perché tutto ciò? Intanto perché non ci sono grande marche di moda in Inghilterra i cui prodotto siano interessanti per il mercato nero, o se vogliamo restare morbidi come David Wall, alternativo. Meno che mai sembrano esserci in ballo posti di lavoro inglesi, sempre che poi i prodotti che ci ostiniamo a dire taroccati non siano invece realizzati in paesi remoti dell’Oriente, come Cina e Tailandia, o più vicini ma sempre con manodopera a costo bassissimo come la Turchia e poi messi sul mercato parallelo dagli stessi fabbricanti. In questo caso, la cosa fa imbufalire ancor più le case perché se questo fosse accertato sarebbe anche svelato l’altarino del perché fabbriche di scarpe e borse realizzano profitti superiori al cinquanta per cento del fatturato, perché il made in Italy o in France si applica a una minima parte del ciclo produttivo di quel bene.
Conforta questa tesi la serie di interviste che ha fatto il Telegraph a numerose donne inglesi che ora tremano all’idea di essere beccate dalla guardia di finanza albionica e che hanno comprato per poche lire turche o euro cose che avrebbero assorbito centinaia e anche migliaia di sterline. Dove le hanno comprate? Nei mercati, mercatini e negozi che fioriscono nelle isole e isolette turche e greche del Mediterraneo orientale. Da quelle parti, sulla terraferma, ci sono fabbriche “delocalizzate”. Guarda un po’…
