A Jackson Hole, Usa, si parla di crisi e ripresa. Fed e la Bce al momento paiono orientate a intraprendere due rotte diverse: la prima pronta a nuove misure per fronteggiare lo spettro della deflazione, la seconda che punta alla ‘exit strategy’ agli inizi del 2011, nella speranza che gli echi della crisi greca rimangano tali.
Il presidente della Federal reserve Ben Bernanke ha ipotizzato una serie di nuove misure che la Fed potrebbe tirare fuori se necessario: da ulteriori acquisti di titoli alla riduzione degli interessi sui depositi presso la banca centrale, fino all’arma piu’ drastica del ”rialzo dell’obiettivo d’inflazione al di sopra dei livelli compatibili con la stabilita’ dei prezzi”. Una misura su cui non c’è alcun sostegno, al momento, fra i governatori del Fomc, e che e’ ”inadatta – ha spiegato Bernanke – all’attuale situazione degli Usa”.
Ma il solo averla evocata, assieme al rischio di deflazione (un ”rischio non significativo”), fa capire la difficoltà posta alla Fed dal suo doppio mandato: quello di contenere l’inflazione e allo stesso tempo sostenere l’occupazione. Compito, quest’ultimo, più che mai difficile nella ‘jobless recovery’ da cui l’economia Usa non sembra riuscire a tirarsi fuori, ostaggio di un mercato immobiliare in piena crisi e dei consumi ancora al palo.
Per la Bce, che ha come unico obbligo statutario la stabilità dei prezzi, l’attuale fase è dunque più facile che per la Fed, e la strategia dei prossimi mesi l’ha delineata il tedesco Axel Weber, anticipando Trichet e auto-candidandosi a prossimo presidente: i tassi resteranno fermi, è ”assolutamente prematuro” parlare di uscita dalla crisi e ci sono rischi, ma la liquidità  ”a rubinetto” a sei mesi per le banche può essere ritirata. E dopo fine anno toccherà alle operazioni trimestrali.
