Petrolio a parte, secondo una recentissima rilevazione di Prometeia, nel gennaio 2011, rispetto al mese precedente, in Italia abbiamo avuto ulteriori aumenti per numerose materie prime: nel comparto dell’industria alimentare gli acquisti hanno subìto un incremento medio del dieci per cento (in un mese!), in particolare il grano ha fatto segnare un più 16; nella meccanica gli acciai piani sono cresciuti del 7,5; nella chimica gli organici di base hanno fatto un salto del nove per cento; il cotone ha fatto un altro gradino in salita, più 5,4, e via aumentando.
Nell’ultima settimana, ma potrebbe trattarsi di una rondine che non fa primavera, alcuni prezzi di generi alimentari sono per la verità diminuiti, primo fra tutti quelli del grano. Non si può comunque ancora parlare di un rovesciamento di tendenza e gli esperti ritengono che questi ribassi siano dovuti al timore che il forte aumento del prezzo del petrolio, sommato alle rivoluzioni in corso, finiscano per innescare un crollo della domanda. Staremo a vedere se prevarrà la padella dell’inflazione o la brace della recessione. O se siamo di fronte a una miscela ancora più esplosiva e dovremo rispolverare una parola dimenticata da tempo: stagflazione, il peggiore dei mali.
Per ora, comunque, è l’ascesa dei prezzi a costituire il maggior rischio. Ai fattori citati si può aggiungere che le politiche di risanamento dei bilanci pubblici, statali e locali, quando non si traducano in tagli al welfare ma piuttosto in aumenti delle tariffe dei servizi pubblici, come sta avvenendo in Italia, finiscono per dare un ennesimo contributo al carovita. La Bce si troverà presto, forse prima del previsto, a dover prendere decisioni difficili sui tassi di interesse. Tanto più difficili in quanto i paesi della zona euro non vivono affatto una congiuntura “omogenea”, bensì una divaricazione strutturale. La Germania è in netta crescita, il pil ha segnato l’anno scorso un più 3,6 per cento, il valore più alto dalla riunificazione, la disoccupazione è modesta e si manifestano tensioni sindacali-salariali. Fra breve l’economia tedesca potrebbe surriscaldarsi e aver bisogno di una stretta dei tassi, anche per contrastare la tanto temuta inflazione. Al contrario, parecchi paesi più deboli dell’eurozona vivono ancora in mezzo al guado, non hanno superato del tutto la recessione, la disoccupazione è elevata e la ripresa abbisogna di altro tempo e di una politica monetaria accomodante. Come si vede, scelte difficilissime per l’ultimo tratto del mandato di Trichet e per il prossimo presidente della Bce. E adesso, povero Draghi?
