Tre anni di tregua. Tre anni in cui la Grecia schiacciata dal debito non dovrà più chiedere soldi ai mercati. Tre anni per cambiare tutto e rimettere in piedi un Paese a un passo dal default, ovvero dalla bancarotta.
Il mercato, i soldi ad Atene li darebbe pure volentieri, ma ad un prezzo insostenibile, con tassi sopra il 10%. Mercoledì 28 aprile, infatti, per la prima volta da quando esiste l’euro oggi il rendimento dei tassi dei titoli di Stato di un paese dell’Eurozona ha superato l’11%. E ovviamente a infrangere il record sono stati i titoli di stato greci a 10 anni. Significa che la “mano” del mercato di Adam Smith sarà pure invisibile ma ci vede benissimo e soprattutto fiuta bene gli affari.
E allora, dove non arriva il mercato arrivano gli stati dell’Unione Europea. Sempre di soldi si tratta, ma a condizioni decisamente diverse. Innanzitutto il tasso d’interesse è dimezzato rispetto a quello che chiederebbe il mercato. Poi grazie agli aiuti, 100-120 miliardi dall’Unione e 35 dal Fondo Monetario internazionale, la Grecia può uscire dalla spirale viziosa del “debito che alimenta il debito”. Con queste, premesse, forse, la Grecia ce la può fare.
Ma c’è il costo, l’amara contropartita del prestito Ue. In cambio dei soldi la Grecia deve trasformare i suoi connotati sociali, prima ancora che economici. Deve spendere meno, sia come Stato, sia come individui. La vera partita si gioca, qua, negli “aggiustamenti strutturali” per usare un termine non nuovo al Fmi, che gli ellenici devono mettere in atto. La Merkel, una delle più titubanti ad allentare i cordoni della borsa, lo ha detto senza mezze misure: Il governo di Atene deve accettare un «ambizioso» piano di austerità ma al tempo stesso deve essere accelerato lo sblocco del piano di aiuti per lo stato ellenico.
«Dobbiamo fare presto perchè la situazione è seria. Il futuro dell’euro zona è in gioco» ha aggiunto il numero del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, in missione a Berlino. «I prestiti alla Grecia- ha aggiunto saranno restituiti quando Atene si rimetterà in carreggiata».
Ed è qui che la Grecia può non farcela: parte del Paese non vuole, non accetta i sacrifici, pesantissimi, chiesti dal governo di George Papandreou. Blocco delle assunzioni della pubblica amministrazione, congelamento degli stipendi, taglio di tredicesima e quattordicesima: tutte misure che hanno già mandato la gente in piazza. E poi ci sono la lotta all’evasione fiscale, lo spauracchio concreto di una riforma che innalzi l’età pensionabile e una serie di liberalizzazioni destinate a irrompere in un’economia dai connotati ancora fortemente protezionistici.
La Ue, insomma, dopo tanti tentennamenti ha gettato il salvagente. Ma il salvagente si gonfierà solo se i greci si decideranno a soffiare forte. Sia chiaro: il salvagente è stato gettato non per umanità o solidarietà ma per un semplice spirito di sopravvivenza. La Commissione Ue, per ora, rifiuta l’idea di un “contagio”, ovvero che la crisi possa trascinare a picco anche altri Paesi. Ma lo spettro c’è: martedì Standard & Poor ha declassato sia il rating greco sia quello portoghese. Il giorno dopo è arrivato il taglio anche di quello spagnolo. L’euro, di conseguenza va giù, e vale 1,31 dollari, il minimo da un anno a questa parte.
Persino Washington, lontana e alle prese con un difficile tentativo di riforma del suo sistema finanziario, si degna di esprimere “preoccupazione per quello che sta succedendo in Grecia”. E le Borse? Crollano martedì e vanno male pure mercoledì con Milano che cala del 2,43%. Ma se le Borse credono davvero alla Grecia e al piano di aiuti Ue lo scopriremo solo con la reazione che i mercati avranno nella mattinata di giovedì.