Grecia e Stati Uniti sono più simili di quanto potrebbe sembrare. Almeno di fronte alla crisi. A sostenere questa tesi David Leonhardt dalle pagine del New York Times.
I numeri del debito pubblico degli Stati Uniti sono a dir poco spaventosi. Secondo le previsioni, nel giro di 20 anni il debito americano sarà pari 140% del prodotto interno lordo. A questo va aggiunta la difficoltà di bilancio del Governo e il deficit reale che cresce sempre di più. Oggi il debito della Grecia risulta pari a circa il 115 % del suo Pil. Che differenza c’è, quindi, tra la Grecia e gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti probabilmente non cadranno nella stessa crisi in cui è sprofondato il Paese europeo per tutta una serie di ragioni. Ma il problema di base è la stesso. Entrambi i Paesi stanno pagando i danni fatti dai governi. In entrambi i Paesi si è speso più di quanto si possedesse, vivendo al di sopra delle proprie possibilità.
Negli Usa è ampio il favore per l’assistenza medica, le infrastrutture, le scuole, l’esercito e in generale un buon welfare, ma con tasse basse.
Giusto lo scorso fine-settimana i membri del Tea Party hanno respinto la candidatura per la rielezione del senatore repubblicano dello Utah Robert Bennett, in parte perché lui aveva promosso la riforma sanitaria insieme a un senatore democratico. Gli economisti pensano che il piano di riforma avrebbe ridotto le spese di Medicare più di quanto non abbia fattola legge approvata. Per questo il Tea Party ha punito Bennet per non aver sostenuto abbastanza il governo.
Lo stesso Obama ha detto, con poco realismo, che le tasse non cresceranno per le famiglie con redditi al di sotto dei 250mila dollari, mentre vorrebbe ricavare miliardi dai tagli ai sussidi all’agricoltura. Ma il Congresso ha ignorato queste proposte.
Per Leonhardt il messaggio è uno solo: vengono respinte le proposte dei politici che, da Washington ad Atene, cercano di andare oltre i luoghi comuni per mostrare una certa moderazione fiscale.
Questa situazione ovviamente non può continuare. Per la Grecia e forse per altri paesi europei, il cambiamento verrà da fuori.
I Paesi che hanno prestato i soldi per il salvataggio greco – soprattutto la Germania – chiedono tagli allo stato sociale. Per i cittadini greci sarà difficile continuare ad andare in pensione a quarant’anni.
Negli Stati Uniti si ha ora la possibilità di risolvere i problemi economici prima che i creditori lo richiedano. I singoli istituti di credito continuare vedere l’economia americana come un rifugio sicuro, grazie alla storia americana di forte crescita economica e alla flessibilità politica.
È anche possibile che la crescita futura sarà migliore di quanto il disavanzo corrente faccia prevedere. Ma la questione principale non è il deficit a breve termine – quello creato dalla recessione, dalle guerre in Iraq e Afghanistan, dai tagli fiscali di Bush e dallo stimolo di Obama. Il problema principale è il deficit a lungo termine.
A mano a mano che le società diventano più ricche, i cittadini tendono a voler scuole migliori, migliore assistenza medica e servizi pubblici. Anche l’America sta seguendo questo modello, ma senza pagare le tasse necessarie. Questa combinazione sta portando Washington a una situazione simile a quella di Atene.
Secondo una stima approssimativa, il governo avrà bisogno di trovare tagli di spesa e aumenti di imposta pari al 7-10 per cento del Pil, che corrisponde almeno a mille miliardi di oggi.
Per questo pensare di raggiungere il pareggio del bilancio solo attrvareso i tagli di spesa, come vorrebbero i Repubblicnai e i membri del Congresso, è praticamente impossibile.
La proposta dei Democratici, di alzare le tasse per i redditi più ricchi e usare la riforma sanitaria per ridurre la spesa statale è utile, ma non sufficiente.
Per questo il New York Times sostiene la necessità di un piano che comprenda un po’ di tutto: l’innalzamento dell’età pensionabile, la riduzione delle detrazioni per i mutui e per l’assicurazione sanitaria, la fine delle scappatoie fiscali per le società, la riduzione delle pensioni di alcuni lavoratori pubblici, la fine degli sprechi nei progetti spaziali militari.
Come sottolinea Alan Krueger, economista capo del Dipartimento del Tesoro: “La questione non è se abbiamo le risorse per risolvere i nostri problemi, ma se abbiamo la volontà politica di farlo”.
E per adesso, dice il quotidiano, questa volontà negli eletti americani manca.